All’Illustrissimo don Diego De Mendoza

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PER QUAM ILLUSTRI DOMINO DIEGO DE MENDOZA 

AD PAULUM III PONTIFICES MAXIMUM CAESAREUM LEGATUM, 

ANGELUS THYUS YDRUNTINUS DE MORCIANO. 

S. P. D. 

 

Aristoteles, Primo Ethicorum, finem in cunctis operibus nostris praecognoscendum esse iubet, est enim veluti sagittarii signum, ad quod sagittas dirigens, facillime, si prius praecognitum, attingit. In cuius nomine omnes eiusdem sunt sententiae, summum enim bonum foelicitatem omnes appellant. Quid vero tale sit, plurimi disentiunt. Quasdam tamen horum praecipuas opiniones recusat ac improbat Aristoteles primo Ethicorum: voluptates enim tollit quas quidem tu merito inter viros celeberrimus, quandoquidem sit vita pecorum, neque divitias extollit. Ad aliud enim sunt ordinatae, ac ubi utile, nihil ingenuum esse poterit, (1) neque honorem non enim proprius noster, sed separabilis est, cum sit in alterius posse, ut virtutisque signum sit, nobis est expetendus. Extremam igitur et Aristoteles tot opinionibus imposuit sententiam, duplicem ponens finem, atque felicitatem, quarum alteram humanam, alteram vero divinam appellat, prima quidem cum hominum commercio perficitur, ac in virtutis usum operationem quam consistere, probat; idque per principalem virtutem qualis est inter virtutes regia virtus ipsa prudentia. Haec enim regibus propria virtus atque foelicitas, qua quidem foelicitate quantum sit clara vestra domus. Et ne adulator appaream, silentio praetermictimus. Tibi quidem apud pontificem Janni apud venetorum senatum tantorum bellorum triumphator Caesar arcana committit, Petro Neapolitana castra bellaque credidit, spiritualia Pontifex gubernare non audet absque cardinalis examine, cum utrumque igitur tempus et pacis atque belli, te duce, tuus sanguis totum illustret orbem preclaram faelicemque familiam. Alteram denique Aristoteles ponit foelicitatem, 10° Ethicorum, quam divinam appellat. Intellectus enim qui divinitus de foris nobis advenit ipsius est causa quam speculativam atque Philosophorum vitam esse asserit. Haec enim hominem summo rerum omnium opifici similem reddit (absit temeritas verbo). Quam enim eidem operationem tribuere licet quod speculatio sui ipsius, ex qua naturalia cunctaque nobis bona causantur.Cum igitur philosophi sit essentiam principaliter dei speculari naturalium quam causam reddere, si qua igitur vita vivit deus non nisi vita philosophorum quos colit tamquam sibi amicos atque cognatos. Sola denique philosophi vita optima foelicissima deoque amicissimum atque similem hominem reddit. Quod et tu cognosces ne tantum amictatur bonum inter praecipuos aetatis nostrae philosophos talem habere ducem gaudentes, principem esse voluisti. Ecce adest et alter vestri sanguinis Diegus Petri predicti filius hic enim in cunctis vestra sequitur vestigia, qui quidem cum in hoc gymnasio se exerceat patavino, magnam quidem indolem, quanta quidem in iuvene modestia,quanta senilis sapientia, quanta maiestas sit, tantam denique sub nostra disciplina tam breviter licterarum adeptus est cognitionem, ut nostram merito beatam philosophorum Rem Publicam appellent. Cum tanta sit malevolorum copi vir illustrissime, tantus obrectatorum numerus, ut nemo profecto audeat sine duce vel tutore in medium aliquid afferre, ne in aculeos illorum incidat qui theonino dente mordere solent, ego igitur qui nova haec maxime nostri temporis quantumque mihi ratio suadebat edere sum ausus, quantos subibo morsus, quantis offendar aculeis, in aliquem praestantissimum virum in mecenatem mihi deligam, sub cuius umbra tutissime nostra haec exire valeant. Novi enim mendocii sanguinis excellentiam, qua omnes fidei suae creditos fortissime tutari solet. Novi generis tui facilitatem, qua cunctos fovere atque extollere solet. Tu enim ut de caeteris taceam, omnes cuiuscumque ordinis benigne suscipis, ingenio illustras, summoque praeconio ad altiora tollis. Accipe igitur vir carissime has laborum meorum primitias, ea tamen animi benignitate qua tua se offerunt bonitati, neque est quid vereare. Nam si quid fuerit per me audacter positum, vel male defensum, culpam omnem in me transferent. Si quid vero arte subtiliter et ingeniose collectum, id omne dignitati tuae praestantissime tribuent. A cuius nutu si quid erit quod sit laudandum manare prospicient, cum divinarum humanarumque rerum scientia tamquam in proprio maneat subiecto. Vale mihique ut soles fave. 

 

Patavii die 12 septembre 1547. 

ALL' ILLUSTRISSIMO DON DIEGO DE MENDOZA 

AMBASCIATORE IMPERIALE PRESSO IL PAPA PAOLO III, 

ANGELO THIO DI MORCIANO IN TERRA D' OTRANTO. 

S.(alutem) P.(lurimam) D.(icit) 

 

Aristotele nel I° libro dell’"Etica" sostiene che in tutte quante le nostre azioni bisogna prima conoscere il fine, che è come il segno del sagittario verso il quale, se è già conosciuto in anticipo, indirizzando le frecce, molto facilmente si giunge a bersaglio. Ogni pensiero esiste in rapporto a questo fine, e infatti tutti chiamano il sommo bene felicità. In verità moltissimi dissentono su che cosa essa sia. Tuttavia Aristotele nel I° libro dell’"Etica" respinge e confuta alcune importanti opinioni di costoro: infatti disprezza i piaceri come fai tu che sei a ragione il più celebre fra gli uomini, e non esalta le ricchezze, giacché ciò è costume delle bestie. Per altre cose i piaceri sono stati disposti, dove ci potrà essere l’utile (1) ma nulla di onesto; e noi non dobbiamo ricercare l’onore come fosse anche segno di virtù; infatti l’onore non dipende interamente da noi, ma è separabile, perché è nel potere di un altro. A tante e così diverse opinioni Aristotele impose il proprio parere, teorizzando un duplice fine, e quindi una duplice felicità, l’una umana e l’altra divina: la prima si raggiunge nell’ambito dei rapporti umani, e dimostra che consiste nell’uso della virtù; fra le altre il ruolo di regina spetta alla prudenza, la quale infatti, unitamente alla felicità, è propria dei re alla stregua della vostra Casata. Taccio, però, per non sembrare un adulatore. Invero a te, Giovanni, l’Imperatore trionfatore di così grandi guerre ha affidato missioni presso il Pontefice e presso il Senato di Venezia, a Pietro ha affidato le fortificazioni e le guerre nel Regno di Napoli, il Pontefice non osa amministrare le cose dello spirito senza l’esame del cardinale, poiché il tuo sangue, con te a capo, rende illustre in tempo di pace e di guerra tutto il genere umano e la tua felice e celebre famiglia. Aristotele, infine, considera l’altra felicità, che egli chiama divina, nel 10° libro dell’"Etica". Infatti l’intelletto, che per grazia degli dei giunge a noi dal di fuori, asserisce che quella consiste nella vita speculativa e propria dei filosofi. Questa, infatti, rende l’uomo simile al Sommo Creatore di tutte le cose (sia detto con determinazione). E’ dato, infatti, che la speculazione, dalla quale derivano tutte quante le cose naturali ed ogni bene, attribuisca tale operazione alla stessa divinità. Essendo, dunque, compito del filosofo speculare principalmente sull’essenza di Dio quanto spiegare le cause delle cose naturali, se la divinità in qualche modo vive, vive soltanto secondo la vita dei filosofi che ama come amici e consanguinei. Pertanto solo la vita del filosofo, ottima e assai felice, rende l’ uomo molto simile e caro alla divinità. Onde poter conoscere se ancora esiste tanta virtù tra i più importanti filosofi del nostro tempo che gioiscono di poter contare su di un protettore così valente, tu hai desiderato di essere il primo. Ecco un altro discendente del vostro sangue, Diego, figlio del predetto Pietro, seguire le vostre orme, il quale, invero, studiando in questo Ginnasio di Padova, ha maturato rapidamente nelle discipline letterarie una grande indole con modestia rara in un giovane, con la sapienza propria di un vecchio, con tanta dignità, che tutti chiamano beato il nostro Stato per merito dei filosofi. Essendoci così grande abbondanza di malevoli, o uomo illustrissimo, ed un numero così grande di calunniatori che nessuno in verità osa pubblicare qualcosa senza una guida o un protettore, per non cadere nelle grinfie di coloro che sono soliti mordere con dente teonino, io che ho osato rendere note tante novità soprattutto del nostro tempo e per quanto la ragione mi convinceva, subirò numerosi attacchi, sarò offeso da continue frecciate, per cui sceglierò quale mio Mecenate qualche uomo insigne sotto la cui protezione queste mie cose possano uscire alla luce con tutta tranquillità. Ho conosciuto, infatti, l’eccellenza del sangue dei De Mendoza, che suole proteggere grandemente i propri sostenitori. Ho conosciuto la disponibilità della tua famiglia che suole favorire e sostenere tutti. Tu, infatti, per non parlare degli altri, generosamente sostieni tutti, a qualunque ceto appartengano, illumini con l’ingegno, inciti con grande lode sempre più in alto. Accetta, dunque, mio carissimo, queste primizie delle mie fatiche, con la medesima generosità d’animo con la quale vengono offerte a te, senza alcuna paura. Infatti, se da me è stato detto qualcosa con audacia o malamente sostenuto, la colpa è tutta mia. Se, invece, è stato messo su qualcosa con arte e ingegno, attribuiranno ciò esclusivamente alla tua dignità. Se, secondo la tua volontà, ci sarà qualcosa che debba essere lodato, provvederanno a diffondere, essendo presente come nel proprio oggetto la scienza delle cose umane e divine. Stammi bene, sii buono come sei solito fare. 

 

Padova, 12 settembre 1547. 

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