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INTRODUZIONE
Con la presente
pubblicazione completiamo il lavoro di traduzione
dell’opera superstite di Angelo Thio averroista morcianese
del XVI° secolo.
Di questo filosofo abbiamo
scritto in varie circostanze (1) , mettendone in luce limiti e meriti,
campo d’azione e probabili elementi di attualità.
E’ certo che, pur insegnando in una delle più
prestigiose Università italiane – quella di Padova
–, dovette lottare contro alcune condizioni sfavorevoli, in
primis la tendenza antimeridionalista dell’Italia
settentrionale in pieno Rinascimento, poi l’autorevolezza
di un maestro – Girolamo Balduino (2) – che
lo aveva immediatamente preceduto nella stessa cattedra patavina,
e ancora un carattere eccessivamente riservato che spesso lo
sospingeva al di qua del suo pur dichiarato amore assoluto per la
verità. Su tutto, però, vince una conoscenza
puntuale di Aristotele sia direttamente attraverso le opere dello
Stagirita sia attraverso tutti i Commentari susseguitisi nel
corso dei secoli.
Al fine di evitare inutili
ripetizioni, ci limiteremo qui ad integrare il ritratto del Thio
mediante l’esposizione schematica di fondamentali
idee-guida presenti nel testo tradotto nonché delle
posizioni dei vari filosofi in merito ai quesiti posti sul
tappeto dal pensatore salentino. Alla base di tutto opera la
convinzione del Nostro che tre sono le cause che impediscono
all’uomo di poter distinguere la verità: in primo
luogo il cattivo ingegno o natura perversa, in secondo luogo il
mal costume, in terzo luogo la logica cattiva. D’altronde
non è cosa facile – continua il Thio –
districarsi nella selva delle problematiche legate alle
interpretazioni di Aristotele, soprattutto se si pensa che tutti
i logici Greci, ad eccezione di Temistio e di Alessandro, debbono
sostanzialmente essere ritenuti ingannatori piuttosto che
corretti commentatori della dottrina peripatetica: unica ancora
di salvezza, in assoluto, nell’universo del pensiero
filosofico di tutti i tempi, resta Averroè, il solo che
sia riuscito a conoscere a fondo il cuore di Aristotele.
Intanto diamo per scontate
e già note alcune premesse essenziali nella speculazione
filosofica del Thio:
- I termini “sensibile”, “naturale”,
“materiale”, sono dei sinonimi e si riferiscono
alla cosa singolare, al particolare, all’individuo: nella
tradizionale considerazione della duplicità
dell’essere (essenza ed esistenza) esso corrisponde
all’essere dell’esistenza, ossia a ciò che
si preconosce prima della dottrina, quindi all’essere al
di fuori dell’anima, all’essere della forma nella
materia, all’essere percepito.
- Ogni dottrina si fonda su di una preesistente conoscenza
dell’essere e dell’essenza del nome; il principio
di ogni conoscenza è costituito dalla precognizione
nominale, non da quella reale. Ad esempio, se non conosciamo
prima che cosa significa il nome “Dio”, giammai
possiamo conoscere se Dio è eterno, né
cos’è precisamente Dio oppure se è eterno e
perché, non essendo stato ancora conosciuto che
cos’è.
- L’oggetto ha due parti, quella materiale e quella
formale, la cosa considerata e il modo di considerare, ovvero
ancora la materia e la forma. Così l’oggetto si
costituisce come in natura, come qualcosa composto di materia e
di forma.
- Le cose considerate in una qualsiasi arte sono quattro:
l’oggetto totale, le specie per sé
dell’oggetto totale, gli accidenti e i principi per
sé di ambedue. Tutte queste cose debbono essere per
sé (=in quanto esso stesso è), per il fatto che
ciò che è per accidens viene escluso
dall’arte.
- Ogni libro si compone di tre parti, di cui due necessarie.
La prima parte necessaria è il proemio: qui vengono
indagate, affermate, preconosciute le cose da insegnare nella
parte successiva; ovviamente vi vengono preconosciute in
maniera non ancora distinta, come invece avverrà nel
trattato. La seconda parte necessaria è, appunto, il
trattato: essa contiene la dottrina distinta, nel senso che vi
si compie la conoscenza perfetta della cosa considerata. In una
parola, qui si conosce la sostanza di una cosa. L’ultima
parte, utile ma non necessaria, è l’epilogo che
serve soltanto per ricordare, per ben concludere, come pro
memoria.
- Le condizioni della materia sono quattro: la tanta
quantità, la tale qualità, in tale luogo, in tale
tempo. La materia così considerata è, per Thio,
la causa propria dell’individuazione, la causa della
determinazione degli individui. Ora, a considerare sempre con
la materia e con il moto è la filosofia naturale, mentre
la metafisica considera sempre senza la materia e senza il
moto, astrae dalla materia e dal moto, quindi considera le cose
in quanto enti senza materia e senza moto, nonostante in natura
le cose siano con la materia e con il moto. In questo senso, la
metafisica riguarda le cose sensibili. Continui e, purtroppo,
molto ripetitivi sono i richiami del Thio alle analisi
afferenti gli ambiti specifici della metafisica, della logica e
della filosofia naturale: il logico – egli insiste
– considera le voci, i termini e i nomi in generale, non
che cosa indica tale nome, cioè la sostanza, oppure se
la sostanza – o qualcuna delle dieci categorie –
possa costituire l’oggetto o il predicato o i principi
dell’enunciazione oppure ancora immaginare di esserlo in
qualche altro modo possibile. L’oggetto della logica
è dato dai secundo intellecta intesi balduinianamente
come strumenti di notificazione, nel mentre la sostanza indica
la cosa al di fuori dell’anima alla stessa stregua delle
altre cose considerate dalle categorie. In definitiva, se da
una parte è vero che l’avventura gnoseologica
prende il via dai famosi quattro quesiti (L’essere
è semplice – L’essere è composto
– Perché l’essere è – Che
cos’è l’essere), dall’altra parte
è da concludere che l’approccio agli stessi
può avvenire attraverso tante modalità per quante
sono le figure d’espressione del pensiero umano.
- Esistono vari tipi di universale, nel senso che
l’universale viene assunto in vari modi: c’è
la forma come universale in potenza (la forma, che è
particolare in atto, ovvero quando la si considera con
determinate caratteristiche in una natura particolare, è
universale in potenza, ovvero quando la si considera
prescindendo dalla determinazione in una cosa particolare).
E’ la natura che si trova negli individui, della quale
parlano Scoto e Antonio Andrea (3) , l’universale come certa natura,
come forma che viene trovata nelle cose particolari.
C’è la forma come universale per mezzo
dell’intelletto, nel senso che l’intelletto riesce
a considerare senza tanta e tale materia – quindi
spogliandolo dalle condizioni materiali – lo stesso
universale incarnatosi in tanta e tale materia (ad esempio,
l’umanità considerata in un determinato uomo
è particolare, considerata in sé
dall’intelletto umano è universale, perché
è considerata come quella cosa in cui convengono tutti
gli individui). C’è infine l’universale
logico (quello definito da Averroè “primo
intellectum”).
Per quanto riguarda la
posizione di Angelo Thio nei confronti delle varie questioni
filosofiche dibattute con veemenza negli ambienti accademici
dell’epoca, è opportuno procedere sintetizzando
– quesito dopo quesito – i punti di vista dei
pensatori coinvolti nel testo e concludendo di volta in volta con
la enucleazione della proposta del professore morcianese: fatica
non facile, se si pensa che lo stesso Thio, trascurando ragioni
minime di chiarezza espositiva, colpisce a fondo gli
interlocutori mettendoli l’uno contro l’altro o
assumendo la difesa d’ufficio dell’uno ai danni
dell’avversario di turno. In merito al quesito che fa da
leit-motiv nelle due opere superstiti del Thio – qual
è l’oggetto della logica – Antonio Bernardino
della Mirandola – detto il Mirandolano – (4) sostiene che
l’oggetto della logica è costituito
dall’orazione intesa come un genere
dell’enunciazione: in tal senso l’orazione è
ordinata in funzione dell’enunciazione, e la sua conoscenza
è conseguentemente ordinata in funzione della conoscenza
dell’enunciazione. Marcantonio il Genua (5) , è
indicato dal Thio come proprio “maestro”, partendo
dal presupposto che le famose dieci categorie aristoteliche sono
voci significanti le cose, indica l’oggetto della logica
nelle voci in quanto significanti le cose senza riferimento
alcuno alle cose intorno all’ente in quanto ente (compito,
quest’ultimo, che per il Genua spetta alla metafisica).
Ludovico Boccadiferro
(6) è, tra
i contemporanei del Thio, colui che assieme a pochi altri,
entrando più nello specifico della duplice composizione
dell’oggetto di una qualsiasi arte (la cosa considerata e
il modo di considerare), individua l’oggetto della logica
nel solo modo di considerare, con il quale l’ignoto diventa
noto in virtù dello strumento logico costituito dalla
demonstratio propter quid.
Ancora più puntuale
si configura l’analisi da parte di due studiosi –
Vincenzo Maggi (7) e
Iacopo Iacomelli Romano – raggruppati dal Thio sotto la
stessa posizione: in conseguenza della constatazione secondo cui
Aristotele ha preposto nel 1° libro degli Analitici Primi ed
epilogato nel 2° libro degli Analitici Secondi la trattazione
intorno alla dimostrazione, avvalendosi anche della tripartizione
dell’oggetto (principale, totale, parziale), i due
affermano che la dimostrazione è l’oggetto
principale della logica e il sillogismo l’oggetto totale.
Tale posizione si arricchisce in qualche modo di ulteriori
specificazioni: l’enunciazione e la proposizione sono la
stessa cosa, essendo l’enunciazione un genere del
sillogismo e la proposizione una parte dello stesso. Anche il
predicato e l’oggetto sono parti
dell’enunciazione.
Tutte disquisizioni, quelle
fin qui rapidamente tratteggiate, che per secoli hanno costituito
terreno di aspre polemiche negli ambienti universitari
dell’intera Europa inchiodandone i protagonisti alle
posizioni classiche della logica medievale e umanistica, da S.
Tommaso D’Aquino (l’oggetto della logica è
dato dalle operazioni dell’intelletto, per cui la logica
è un’arte che si interessa degli atti della ragione)
a Egidio Romano (9) (i
concetti come oggetto della logica, per cui la logica diventa
un’arte concettuale), dal trio Filopono (10) –
Ammonio (11) –
Suessano (12) ( le
voci e le proposizioni sono l’oggetto della logica) a
Giovanni di Jandun (13) (in logica vengono considerate le cose
che sono primamente e per sé, e le cose che sono soltanto
per sé, ossia le cose e le intenzioni), fino allo Zimara
(14) (le
intenzioni, non le cose, costituiscono l’oggetto della
logica).
Altrettanto articolate sono
le posizioni relative al giudizio sul famosissimo libro
aristotelico delle Categorie. Premesso che tale libro si compone
sostanzialmente di tre parti – Ante-Predicamenti (contiene
certe cose generali che servono alla spiegazione delle categorie,
i principi della conoscenza; comunque, non è un proemio
vero e proprio), Trattato e Post-Predicamenti (tratta gli
accidenti e le passioni o le conseguenze comuni delle dieci
categorie; comunque, non è l’epilogo vero e proprio)
–, il Thio conduce approfondimenti puntigliosi che possiamo
sintetizzare in linea di massima in questi termini: per il Genua
il libro delle Categorie è il primo tra i libri
aristotelici di logica, perché tratta delle cose
più semplici, e poiché le cose più semplici
debbono venir prima, anche il libro de quo occupa il primo posto.
Per il Mirandolano le Categorie non fanno parte della logica ma
della metafisica, la quale anzi senza il libro delle Categorie
verrebbe svilita. (La metafisica – è detto –
riguarda, al pari delle categorie, le cose che sono più
note e che sono prima in noi e in natura). Per Maggi e Iacomelli
nel libro in questione vengono trattate le celebri dieci voci
affinché siano propedeutiche e di sostegno alle
proposizioni. Ad ampliare il ventaglio delle valutazioni intorno
al quesito in oggetto si aggiunge Bernardino Tomitano (15) : il libro
delle Categorie fa parte della logica e tratta delle semplici
voci come principi dell’enunciazione; il libro
Perihermeneias, invece, tratta della proposizione. Con
ciò, ovviamente, il Tomitano si scontra con il Thio
secondo il quale a trattare della proposizione è il libro
degli Analitici Primi, mentre il Perihermeneias tratta
dell’enunciazione in quanto genere del sillogismo.
Ancor più vivace
diventa la polemica nel momento in cui entra in campo
l’Abbraccio (16) definito dal Thio “… tra i
filosofi non dell’ultima classe di questa Accademia”
(17) e
“… filosofo sottilissimo e nostro compatriota”
(18) : il libro
delle Categorie – egli dice – è un proemio del
libro Perihermeneias. Infatti nel primo viene data una
precognizione confusa delle cose logicali, mentre nel secondo
quelle medesime cose vengono conosciute in maniera chiara e
distinta; l’unica differenza per l’Abbraccio è
che nelle Categorie le cose logicali vengono considerate non in
quanto nomi ma in quanto enti, ovvero vengono considerate le
dieci voci in quanto riferentisi ai propri significati. Ad
esempio, la sostanza in quanto indicante la tale cosa che
può esistere per sé, ovvero in quanto si riferisce
ad un significato.
Seconda tesi
dell’Abbraccio: il libro delle Categorie è
necessario. Infatti le cose che sono comuni debbono essere
trattate nella logica; le categorie sono comuni, quindi debbono
essere trattate nella logica. Rinviando per un attimo le
specifiche contestazioni del Thio in ordine alla prima tesi, il
Nostro sostiene che la premessa maggiore contenuta nel secondo
ragionamento dell’Abbraccio è falsa: infatti non
è vero che ogni cosa comune viene considerata nella
logica, ché anzi Aristotele nella logica ha stabilito le
regole degli strumenti comunemente utili a tutte le arti, non le
cose comuni a tutte le arti.
E’ il momento,
dunque, di tratteggiare brevemente la posizione del Thio: il
libro delle Categorie non fa parte della logica. Le dieci
categorie (in primis la sostanza), infatti, sono le specie
essenziali dell’ente, quindi non possono essere considerate
essenzialmente dal logico poiché gli oggetti logicali non
sono le specie essenziali. Non basta: il libro in oggetto non
è di Aristotele, ma è opera di uno
Pseudo-Aristotele. Queste le argomentazioni addotte:
- Non è costume dello Stagirita esprimersi con un
discorso così lungo e chiaro qual è, appunto,
quello presente nelle Categorie.
- Manca nel testo quella forza argomentativa così
tipica degli altri scritti aristotelici.
- Premesso che ogni libro, perché sia degnamente
considerato tale, deve essere costituito almeno da due parti
necessarie – il proemio e il trattato –, è
evidente che il libro delle Categorie non presenta un proemio
ma, come dice Averroè, un quasi proemio, per cui non
può appartenere ad Aristotele: “Io, dunque, credo
fermamente che questo libro non appartenga ad Aristotele. Il
suo modo di parlare differisce da questo quanto il cielo dalla
terra” (19)
.
Quanto, poi, alla
specificità dei contenuti propri del libro delle Categorie
e del Perihermeneias, il Thio afferma che nel primo vengono
trattati i primo intellecta, mentre nel secondo vengono
conosciuti il nome e il verbo che costituiscono i secundo
intellecta.
Ultima quaestio: il libro
di Porfirio (20)
intitolato Isagoge è necessario? Se per necessario –
argomenta il Thio – si intende ciò senza cui una
cosa non è completa, allora il libro di Porfirio non
è necessario alla logica che risulta ugualmente completa,
tutt’al più può essere considerato utile nei
procedimenti argomentativi per eventuali vantaggi. Anzi –
aggiunge il Nostro – il libretto di Porfirio “poco o
niente è utile allo stesso libro delle Categorie”
(21) .
Cesare Daquino
NOTE
1) Cesare Daquino
Cesare Daquino (Morciano di Leuca, 1946), dirigente
scolastico dell'Istituto Comprensivo di Gagliano del Capo,
già Sindaco del Comune di Morciano di Leuca per più
mandati amministrativi. Da un intenso lavoro di ricerca sulle
tematiche più significative della cultura salentina sono
apparsi in volume pubblicati da Capone Editore, Cavallino
(Le):
Nelle edizioni ERRECI di Maglie (Le) ha pubblicato
nel 1991 "Angelo Thio. L'oggetto della logica":
traduzione di una delle opere superstiti di un filosofo
averroista morcianese, al quale ha dedicato anche un saggio dal
titolo "Angelo Thio, filosofo apulo del XVI°
secolo" apparso su "Idee" Rivista di Filosofia,
Milella editore – Lecce.
Nelle edizioni del Grifo di Lecce è stata pubblicata nel
2001 la "Guida alle cripte bizantine del Salento".
- Morciano di Leuca, 1988;
- I Messapi e Vereto, 1991;
- La guida di Leuca, 1993;
- Masserie del Salento, 1994;
- Guida alle Masserie del Salento, 1999;
- I Messapi. Il Salento prima di Roma, 1999;
- Bizantini in terra d'Otranto, 2000;
- I Messapi. Il Salento prima di Roma, 2^ ediz., 2006;
- Masserie del Salento, 2^ ediz., 2007.
2) Girolamo Balduino
(Montesardo, inizi del sec. XVI –1546?)
Nacque da una ricca
famiglia; il padre Giovanni, fisico rinomato, lo avviò
agli studi naturalistici. Girolamo ebbe tre fratelli, di cui uno,
Giovanni Francesco fu giureconsulto, e gli altri due, Bellisario
e Francesco Antonio, divennero vescovi rispettivamente di
Alessano e di Larino.
La famiglia scompare da
Montesardo nei primi anni del sec. XVII. Sostenne gli esami per
il dottorato in artibus il 4 febbraio 1528, nel Palazzo Vescovile
di Padova: esaminatore il Genua. Lo stesso anno ebbe la cattedra
straordinaria di sofistica “in secondo luogo” con lo
stipendio di 20 fiorini. Contemporaneamente ebbe come collega,
però nella cattedra “in primo luogo”,
Policleto Bleve di Montesardo. Dopo appena un anno, nel 1529,
Balduino lasciò l’Università di Padova per
tornare al suo paese, sicuramente per sistemare
l’amministrazione delle sue proprietà (tra
l’altro era proprietario di tre Castelli con tanta
servitù e vassalli): la sua cattedra venne assegnata il
1° novembre 1529 a Taddeo Centulo di Arezzo.
Dall’Università di Salerno
fu offerta al Balduino nel 1530 la cattedra di logica lasciata
libera dal Suessano che nel 1531 otteneva la cattedra di fisica
(ovvero di medicina e filosofia) all’Università di
Napoli.
Balduino passò
subito all’Università di Napoli, dove insegnò
con tanto successo anche nella Scuola gestita dal Convento di San
Lorenzo. Questo stesso Convento pubblicò postumi alcuni
scritti del Balduino. I suoi corsi a Napoli riguardavano la
logica e la fisica.
Alla sua morte, nessuno
degli scritti era stato pubblicato. Queste le edizioni degli
scritti di Balduino:
- Perihermeneias Antonii Fasii Siculi Caccabensis, cum
omnibus scriptis sui praeceptoris Hieronymi Balduini suo
tempore summi logici et Philosophi Hidruntini, Milano 1549
- Quaesita Hieronymi Balduini de Monte Arduo Philosophi
Excellentissimi, tum Naturalia cum Logicalia, etc., Napoli
1550.
- Joannis Vincentii Colle Sarnensis, Destructio descructionum
auctorum Balduini, quas Quidem destructor adimplevit, Napoli
1554.
- Quesitum pulcherrimum et elucubratissimum, de medio
demonstrationis potissimae, etc., Napoli 1555.
- Lucidissima Expositio Magnae Commentationis Averrois Primi
Libri Posteriorum Analyticorum Aristotelis, etc., Napoli
1555.
- De propositione singulari an ingrediatur syllogismum,
adversus logicastrorum Morologias Hieronymi Balduini e
Montearduo Philosophi ac Logici Acutissimi, etc., Napoli
1556.
- Continuatio, intentio, et divisio octo librorum physicorum
Aristot. a nullo umquam intellecta, adversus omnes Graecos,
Arabes, et Latinos. Hieronymi Balduini e Montearduo, philosophi
excellentissimi, etc., Napoli 1556.
- De frigiditate terrae. Quaesitum novum et optatissimum,
etc., s.1. né d., ma Napoli 1556.
- Hieronymi Balduini de Monte Arduo logicorum et
philosophorum suae tempestatis facile principis vera germanaque
Expositio in prologum primi poste. Aristot., etc., Napoli
1556.
- Hieronymi Balduini de Monte Arduo logicorum ac
philosophorum suae tempestatis facile Principis vera germanaque
Expositio in tractatum primi Poste. Arist., etc., Napoli
1556.
- De regressu Demonstrativo Hieronymi Balduini de Monte
Arduo, Philos. Solertiss. Quaesitum optatissimum, etc., Napoli
1557.
- Hieronymi Balduini Quaesitum novum et pulcherrimum, ac
optatissimum contra Scotum, ac communem viam, in quo
enucleatur, an de subiecto praecognoscatur, si est, etc.,
Napoli 1557.
- Primi libri Physicorum Aristotelis Proemii expositio
doctissima, et clarissima Hieronymi Balduini, etc. Napoli
1559.
- Clarissima expositio domini Hieronymi Balduini de Monte
Arduo philosophi celeberrimi medices peritissimi, ac logices
exsquisitissimi super prologum Magnae Commentationis, etc.,
Napoli 1559.
- Quaesita duo logicalia, etc., Napoli 1561.
- Quesita logicalia domini Hieronymi Balduini de Monte Arduo
Philosophi celeberrimi omnibus pernecessaria logicis, etc.,
Napoli 1561.
- Hieronymi Balduini Philosophi peritissimi Expositio in
librum primum Posteriorum Aristotelis, etc., Venezia 1563.
- Hieronymi Balduini e Montearduo viri doctissimi Expositio
in libellum Porphyrii de quinque vocibus, etc., Venezia
1563.
- Hieronymi Balduini Philosophi celeberrimi varii generis in
logica quaesita, etc., Venezia 1569.
- Hieronymi Balduini e Montearduo Philosophi Excellentiss. ac
Celeberrimi Expositio aurea in libros aliquot Physicorum
Aristotelis et Averrois, etc., Venezia 1573.
Per la conoscenza del Balduino è fondamentale:
Giovanni Papuli, "Girolamo Balduino. Ricerche sulla logica
della Scuola di Padova nel Rinascimento", Lacaita Editore,
Manduria 1967.
3) Antonio Andrea
Autore dell'opera "Quaestiones super
Metaphysicam", fu tra i primi discepoli di Duns Scoto e tra
i più fedeli. Per il suo carattere affabile venne chiamato
doctor Dulcissimus. Morì intorno al 1320. Le notizie
più complete su Antonio Andrea sono in: I. Vazque Janeiro,
Rutas e hitos del escotismo primitivo en Espana, in Homo et
Mundus: Acta quinti Congressus Scotistici Internationalis,
Salamanticae, 21-26 Septembris 1981, Societas Internationalis
Scotistica, Roma 1984, pp. 419-436.
4) Antonio Bernardi della
Mirandola, detto Bernardino Mirandolano (1502 – 1565).
Fu un averroista della corrente di Sigieri di
Brabante.
La sua opera più nota è intitolata
Institutio in universam logicam (Basilea 1545).
5) Marcantonio de’
Passeri detto il Genua
Era figlio di Nicolò
Genua, celebre maestro della facoltà patavina delle Arti e
Medicina, morto nel 1522.
Marcantonio si
addottorò a Padova nell’anno accademico 1511 –
1512. Negli anni 1517 – 1518 insegnò a Padova
“filosofia straordinaria in secondo” con lo stipendio
di 40 fiorini, nel 1521 lo stipendio era salito a 60 fiorini, nel
1523 a 80 fiorini, nel 1529 a 180 fiorini.
Nel 1535 fu
l’esaminatore di Girolamo Balduino e di Bernardino Tomitano
a Padova durante l’esame di dottorato in artibus.
Morì più che
settantenne nel 1563 fra il compianto generale.
La sua opera più
famosa, tanto da essere ritenuta uno dei più notevoli
commenti ad Aristotele nel Rinascimento, è intitolata In
tres libros Aristotelis de Anima exactissimi Commentarii,
pubblicata postuma a Venezia nel 1576 a cura di Giacomo Pratelli
e di Giancarlo Saraceno.
6) Ludovico Boccadiferro
Discepolo a Bologna di
Alessandro Achillini, nella stessa città ne
continuerà l’insegnamento averroistico dal 1517 fino
alla morte nel 1545, con la sola interruzione di tre anni
(1524-1527).
Si faceva chiamare anche
con il cognome erudito Siderostomo.
Sue opere più
importanti:
- In duos libros Aristotelis de generatione et corruptione
Commentaria, Venezia 1571.
- Aristotelis de physico audito liber primus explicatus,
Basilea 1571.
- Quaestio de immortalitate animae. E’ un manoscritto
contenente 11 lezioni giunteci nei seguenti codici in due
redazioni un po’ diverse l’una dall’altra:
- Cod. Vat. lat. 4701, ff 86v – 133v;
- Cod. Vat. lat. 4710, ff. 204r – 255r;
- Cod. Magliabech., Conv., Soppr.,F. 51, ff. 96 –
147. (Cfr. Bruno Nardi, Saggi sull’aristotelismo
padovano dal secolo XIV al XVI, Sansoni Editore, Firenze
1958).
7) Vincenzo Maggi (Vincentius
de Madiis).
Era di Brescia, di una
generazione più giovane del Thio. Fu chiamato a coprire il
posto lasciato dallo Zimara nell’Università di
Padova il 29 ottobre 1529 con lo stipendio di 47 fiorini.
Discepolo dello stesso
Zimara, si era addottorato in artibus appena un anno prima,
però era già molto noto nell’ambiente per il
suo acume e per la sua profonda conoscenza del greco.
Nel 1531 lo stipendio era
passato a 125 fiorini; l’anno successivo il Maggi diventava
concorrente del Genua, finché nel 1535 vedeva aumentare il
suo stipendio a 300 fiorini.
Dal 1542 fino alla morte,
per circa un ventennio, insegnò ininterrottamente nello
studio di Ferrara.
Al suo nome il Thio
affianca sempre quello di Iacopo Iacomelli Romano.
Purtroppo la stragrande
maggioranza della produzione del Maggi rimase manoscritta, per
cui oggi restano soltanto poche cose superstiti. (Cfr. Jacobi
Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Padova 1757, Ristampa
anastatica presso Arnaldo Forni Editore, Sala Bolognese
1978).
8) Egidio Romano (Roma 1247
– Avignone 22 dicembre 1316).
Fu scolaro di S. Tommaso
D’Aquino a Parigi negli anni 1268-1272, assimilandone
profondamente il pensiero e diventandone strenuo difensore
nell’infuriare della polemica sul tomismo. Diventò
maestro a Parigi , finché non venne consacrato arcivescovo
di Bourges nel 1259 da papa Bonifacio VIII. Fra le sue opere
più importanti ricordiamo quelle che hanno avuto numerose
edizioni al tempo del Thio: “Liber contra gradus et
pluralitates formarum, Quodlibeta, Quiaestiones disputatae de
ente et essentia, De Mensura et cognitione angelorum, Theoremata
de corpore Christi, Commentario alle feutenze, De regimine
principum, De ecclesiastica sive Summi Pontificis
potestate”.
9) Giovanni Filopono (= Amante
del lavoro), detto anche il Grammatico, originario di Alessandria
d’Egitto (Inizi del sec. VI –580 circa).
Nel Medioevo godette di una
fama senz’altro superiore ai meriti effettivi. Discepolo di
Ammonio, contemporaneo del grande imperatore Giustiniano, fu il
caposcuola della setta dei triteisti secondo cui nella
Trinità alle tre persone corrispondono tre nature, quasi
tre divinità distinte nella Trinità.
Vastissima la sua
produzione letteraria: fu autore di scritti grammaticali, di
commentari alle opere aristoteliche (Organo, Fisica, Anima,
Metafisica), di scritti teologici (L’arbitrio o
sull’unione, L’eternità del mondo, Sulla
resurrezione, ecc.), nonché di vari opuscoli.
10) Ammonio (Alessandria
d’Egitto, 175 – 242 d.C. Circa)
Fondatore del neoplatonismo
e maestro di Plotino. Per il fatto che in gioventù, per
vivere, fu costretto a trasportare sacchi, ebbe il soprannome
Sacca.
Ammonio, sull’esempio
di Socrate, non ha lasciato alcuno scritto.
11) Agostino Nifo, detto il
Suessano dalla sua città natale Sessa in Campania (1473
– 1546).
Insegnò nelle
Università di Padova, Napoli, Pisa, Salerno, Bologna e
Roma. Si definì sempre un averroista; di fatto il suo
averroismo fu abbastanza confuso e incline verso soluzioni
eclettiche dettate dall’urgenza delle circostanze storiche
e accademiche. A seguito di incarico da parte del papa Leone X
compose l’opera Tractatus de immortalitate animae contra
Pomponatium (Venezia 1518) con lo scopo di confutare le
concezioni radicali del Pomponazzi in nome di un aristotelismo
più vicino alle interpretazioni tomistiche. Pomponazzi
rispose a sua volta con lo scritto Defensorium contra Nyphum.
Il Nifo fu autore di
numerosi Commentari alle opere di Aristotele (raccolti e
pubblicati a Parigi nel 1654 in 14 volumi), tra i quali fu
oggetto di accese polemiche la Expositio Aristotelis de phisico
auditu (Venezia 1552).
Negli anni 1495 –
1497 pubblicò l’Opera Omnia di Averroè,
apponendovi le sue note di commento.
Nel campo della morale il
Nifo professò una sorta di pratico edonismo che gli
attirò critiche e pettegolezzi.
Altre sue opere:
- De intellectu et daemonibus, Padova 1492: vi è
sostenuto che le intelligenze motrici dei cieli sono le uniche
sostanze spirituali e immortali.
- De infinitate primi motoris, Venezia 1504.
- De pulchro et amore, Roma 1531.
- De regnandi peritia, Napoli 1523, che è una sorta di
versione libera in latino del Principe di Niccolò
Machiavelli.
12) Giovanni di Jandun
(Parigi? – Todi 1328).
Il filosofo delle Ardenne
molto amico del celeberrimo Marsilio da Padova. Nella lotta tra
Impero e Papato, si schierò assieme all’amico a
favore dell’imperatore Ludovico il Bavaro contro Papa
Giovanni XXII, ricevendo la scomunica e trovando rifugio presso
l’imperatore. Le sue opere riguardano soprattutto
Commentari a opere di Aristotele (Quaestiones in XII libros
Metaphysicae; Physica, De coelo et mundo, Parva naturalia). La
sua caratteristica di fondo è un atteggiamento di
scetticismo nei confronti di tutti gli indirizzi filosofici ivi
incluso lo stesso Averroismo di cui egli fu interprete profondo e
acuto. (Cfr. Giuseppe Dell’Anna, Giovanni di Yandun ed il
problema dell’Immaginatio, Congedo Editore, Galatina
1985).
13) Marcantonio Zimara
(Galatina 1460 – Padova 1523).
Fu discepolo del grande
Pietro Pomponazzi a Padova, ma se ne staccò a motivo della
diversità di interpretazione dell’averroismo. Il
Pomponazzi esercitò la sua autorevole influenza per
ostacolare la carriera universitaria dello Zimara, sul quale
peraltro ha sempre pesato negativamente il giudizio stroncatorio
dato dal celebre Pietro Bembo in una lettera del 6 ottobre 1525 a
G.B. Rannusio :”tutto barbaro e pieno di quella feccia di
dottrina, che ora si fugge, come la mala ventura” (cfr.
Pietro Bembo, Opere, Venezia 1729, tomo III, p. 118). Fu eletto
sindaco di Galatina nel 1514; l’anno seguente gli nacque il
figlio Teofilo. Per secoli la sua fama è stata legata
soprattutto all’opera Antrum magico-medicum: la critica
contemporanea è sostanzialmente d’accordo nel
negarne la paternità zimariana. (Cfr. Antonio Antonaci;
Ricerche sull’Aristotelismo del Rinascimento. Marcantonio
Zimara. Volume 1, Editrice Salentina, Galatina 1971).
Si laureò anche in
medicina.
Sue opere:
- Solutiones contradictionum, Venezia 1508
- Theoremata, Napoli 1523
- Problemata, pubblicati postumi nel 1536 a Venezia.
- Tabula dilucidationum, pubblicata postuma nel 1537 a
Venezia da Agostino Ricco da Lucca.
Moltissimi i Commentari
(alla Logica, Fisica e Metafisica di Aristotele, a Temistio, a
Giovanni di Baconthorp, a Erveo di Nédellec, a Giovanni di
Jandun, ad Alberto Magno).
14) Bernardino da Feltre
detto il Tomitano (+ 1576).
Coetaneo di Girolamo
Balduino, seguì assieme al filosofo di Montesardo i corsi
del Genua; il Genua, infatti, fu l’esaminatore dei due
laureandi nel 1535 per il dottorato in artibus.
Fra i suoi scritti
più importanti ricordiamo:
- Bernardini Tomitani artium doctoris Introductio ad
sophisticos elenchos Aristotelis, Eiusque brevis methodus
diluendorum paralogismorum per divisionem. Adiecta sunt
famigerata vetrum Sophismatum exempla, Venetiis 1544.
Quest’opera, nota con il titolo abbreviato Introduzione
agli elenchi sofistici di Aristotele, è un trattato in
tre libri, di cui la parte più famosa è
costituita dal settimo capitolo del terzo libro; qui il
Tomitano illustra la sua teoria dei quattro metodi di
insegnamento e. quindi, di ricerca speculativa:
- metodo divisivo, il quale consiste nel dividere il
genere nelle sue differenze;
- metodo definitivo, il quale consiste nel dedurre
l’essenza di una cosa dai suoi elementi;
- metodo risolutivo, il quale consiste nello scomporre i
composti nelle loro parti più semplici;
- metodo dimostrativo, il quale consiste
nell’affermare che la proprietà di cui si
discute è presente nel dato di cui si discute.
In riferimento alla perfezione, l’ordine dei
predetti metodi è il seguente: dimostrativo,
definitivo, risolutivo, divisivo. In conclusione per il
Tomitano la divisione è il metodo capace di debellare
tutti i paralogismi. (Cfr. Angelo Crescini, Le origini del
metodo analitico. Il Cinquecento, Del Bianco Editore, Udine
1965).
- Contradictionum solutiones in Aristotelis et Averrois dicta
in primum librum Posteriorum resolutoriorum, in Aristotelis
Opera cum Bernardini Tomitani animadversionibus, Venezia
1562.
15) Abbraccio
D’Ales
Fu di Gravina in Puglia.
Nel 1531 insegnò “filosofia straordinaria in
primo” all’Università di Padova con lo
stipendio iniziale di 47 fiorini; nel 1543 lo stipendio era
aumentato a 100 fiorini. Nel 1543 passò
all’insegnamento di “filosofia ordinaria in
secondo” con lo stipendio di 150 fiorini; nel 1556 lo
stipendio era passato a 300 fiorini. Nel 1564 tornò
all’insegnamento iniziale con lo stipendio di 350
fiorini.
Sue opere:
- Ambrosii del Ales gravinatis Speculatio in qua indagatur
quoniam humanus animus cognitione ipsum universitatis genitorem
concernat, Padova 1565.
- Speculatio de scientia quam habet aliorum, Napoli
1576.
- Defensio opinionis Simplicii de subiecto (manoscritto).
(Cfr. Teodoro Massa, Pugliesi nell’Ateneo padovano, in
“Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti,
1905).
16) Angelo Thio, Quaesitum et
praecognitiones, Padova 1547, p. 18, c.2, traduz. C.
Daquino.
17) Ibid., p. 18, c. 3
18) Ibid, p. 27, c. 4
19) Porfirio di Tiro (233 –
305 d.C.?)
Discepolo di Plotino a
Roma, pubblicò gli scritti del maestro sistemandoli in sei
Enneadi. Famoso anche per l’opera Introduzione alle
Categorie di Aristotele meglio nota con il titolo Isagoge (=
Introduzione), una specie di commentario delle Categorie di
Aristotele in forma dialogica; più in particolare tratta
delle celebri quinque voces, ovvero dei concetti genus, species,
differentia, proprium, accidens, così a lungo analizzati
nelle lezioni universitarie del Thio: cinque predicabili che a
parere di Porfirio debbono necessariamente essere considerati
nella logica.
20) Angelo Thio, Quaesitum et
praecognitiones, op. cit., p. 36, c. 1.
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