[Introduzione]

INTRODUZIONE

    Con la presente pubblicazione completiamo il lavoro di traduzione dell’opera superstite di Angelo Thio averroista morcianese del XVI° secolo.

    Di questo filosofo abbiamo scritto in varie circostanze (1) , mettendone in luce limiti e meriti, campo d’azione e probabili elementi di attualità. E’ certo che, pur insegnando in una delle più prestigiose Università italiane – quella di Padova –, dovette lottare contro alcune condizioni sfavorevoli, in primis la tendenza antimeridionalista dell’Italia settentrionale in pieno Rinascimento, poi l’autorevolezza di un maestro – Girolamo Balduino (2) – che lo aveva immediatamente preceduto nella stessa cattedra patavina, e ancora un carattere eccessivamente riservato che spesso lo sospingeva al di qua del suo pur dichiarato amore assoluto per la verità. Su tutto, però, vince una conoscenza puntuale di Aristotele sia direttamente attraverso le opere dello Stagirita sia attraverso tutti i Commentari susseguitisi nel corso dei secoli.

    Al fine di evitare inutili ripetizioni, ci limiteremo qui ad integrare il ritratto del Thio mediante l’esposizione schematica di fondamentali idee-guida presenti nel testo tradotto nonché delle posizioni dei vari filosofi in merito ai quesiti posti sul tappeto dal pensatore salentino. Alla base di tutto opera la convinzione del Nostro che tre sono le cause che impediscono all’uomo di poter distinguere la verità: in primo luogo il cattivo ingegno o natura perversa, in secondo luogo il mal costume, in terzo luogo la logica cattiva. D’altronde non è cosa facile – continua il Thio – districarsi nella selva delle problematiche legate alle interpretazioni di Aristotele, soprattutto se si pensa che tutti i logici Greci, ad eccezione di Temistio e di Alessandro, debbono sostanzialmente essere ritenuti ingannatori piuttosto che corretti commentatori della dottrina peripatetica: unica ancora di salvezza, in assoluto, nell’universo del pensiero filosofico di tutti i tempi, resta Averroè, il solo che sia riuscito a conoscere a fondo il cuore di Aristotele.

    Intanto diamo per scontate e già note alcune premesse essenziali nella speculazione filosofica del Thio:

  • I termini “sensibile”, “naturale”, “materiale”, sono dei sinonimi e si riferiscono alla cosa singolare, al particolare, all’individuo: nella tradizionale considerazione della duplicità dell’essere (essenza ed esistenza) esso corrisponde all’essere dell’esistenza, ossia a ciò che si preconosce prima della dottrina, quindi all’essere al di fuori dell’anima, all’essere della forma nella materia, all’essere percepito.
  • Ogni dottrina si fonda su di una preesistente conoscenza dell’essere e dell’essenza del nome; il principio di ogni conoscenza è costituito dalla precognizione nominale, non da quella reale. Ad esempio, se non conosciamo prima che cosa significa il nome “Dio”, giammai possiamo conoscere se Dio è eterno, né cos’è precisamente Dio oppure se è eterno e perché, non essendo stato ancora conosciuto che cos’è.
  • L’oggetto ha due parti, quella materiale e quella formale, la cosa considerata e il modo di considerare, ovvero ancora la materia e la forma. Così l’oggetto si costituisce come in natura, come qualcosa composto di materia e di forma.
  • Le cose considerate in una qualsiasi arte sono quattro: l’oggetto totale, le specie per sé dell’oggetto totale, gli accidenti e i principi per sé di ambedue. Tutte queste cose debbono essere per sé (=in quanto esso stesso è), per il fatto che ciò che è per accidens viene escluso dall’arte.
  • Ogni libro si compone di tre parti, di cui due necessarie. La prima parte necessaria è il proemio: qui vengono indagate, affermate, preconosciute le cose da insegnare nella parte successiva; ovviamente vi vengono preconosciute in maniera non ancora distinta, come invece avverrà nel trattato. La seconda parte necessaria è, appunto, il trattato: essa contiene la dottrina distinta, nel senso che vi si compie la conoscenza perfetta della cosa considerata. In una parola, qui si conosce la sostanza di una cosa. L’ultima parte, utile ma non necessaria, è l’epilogo che serve soltanto per ricordare, per ben concludere, come pro memoria.
  • Le condizioni della materia sono quattro: la tanta quantità, la tale qualità, in tale luogo, in tale tempo. La materia così considerata è, per Thio, la causa propria dell’individuazione, la causa della determinazione degli individui. Ora, a considerare sempre con la materia e con il moto è la filosofia naturale, mentre la metafisica considera sempre senza la materia e senza il moto, astrae dalla materia e dal moto, quindi considera le cose in quanto enti senza materia e senza moto, nonostante in natura le cose siano con la materia e con il moto. In questo senso, la metafisica riguarda le cose sensibili. Continui e, purtroppo, molto ripetitivi sono i richiami del Thio alle analisi afferenti gli ambiti specifici della metafisica, della logica e della filosofia naturale: il logico – egli insiste – considera le voci, i termini e i nomi in generale, non che cosa indica tale nome, cioè la sostanza, oppure se la sostanza – o qualcuna delle dieci categorie – possa costituire l’oggetto o il predicato o i principi dell’enunciazione oppure ancora immaginare di esserlo in qualche altro modo possibile. L’oggetto della logica è dato dai secundo intellecta intesi balduinianamente come strumenti di notificazione, nel mentre la sostanza indica la cosa al di fuori dell’anima alla stessa stregua delle altre cose considerate dalle categorie. In definitiva, se da una parte è vero che l’avventura gnoseologica prende il via dai famosi quattro quesiti (L’essere è semplice – L’essere è composto – Perché l’essere è – Che cos’è l’essere), dall’altra parte è da concludere che l’approccio agli stessi può avvenire attraverso tante modalità per quante sono le figure d’espressione del pensiero umano.
  • Esistono vari tipi di universale, nel senso che l’universale viene assunto in vari modi: c’è la forma come universale in potenza (la forma, che è particolare in atto, ovvero quando la si considera con determinate caratteristiche in una natura particolare, è universale in potenza, ovvero quando la si considera prescindendo dalla determinazione in una cosa particolare). E’ la natura che si trova negli individui, della quale parlano Scoto e Antonio Andrea (3) , l’universale come certa natura, come forma che viene trovata nelle cose particolari. C’è la forma come universale per mezzo dell’intelletto, nel senso che l’intelletto riesce a considerare senza tanta e tale materia – quindi spogliandolo dalle condizioni materiali – lo stesso universale incarnatosi in tanta e tale materia (ad esempio, l’umanità considerata in un determinato uomo è particolare, considerata in sé dall’intelletto umano è universale, perché è considerata come quella cosa in cui convengono tutti gli individui). C’è infine l’universale logico (quello definito da Averroè “primo intellectum”).

    Per quanto riguarda la posizione di Angelo Thio nei confronti delle varie questioni filosofiche dibattute con veemenza negli ambienti accademici dell’epoca, è opportuno procedere sintetizzando – quesito dopo quesito – i punti di vista dei pensatori coinvolti nel testo e concludendo di volta in volta con la enucleazione della proposta del professore morcianese: fatica non facile, se si pensa che lo stesso Thio, trascurando ragioni minime di chiarezza espositiva, colpisce a fondo gli interlocutori mettendoli l’uno contro l’altro o assumendo la difesa d’ufficio dell’uno ai danni dell’avversario di turno. In merito al quesito che fa da leit-motiv nelle due opere superstiti del Thio – qual è l’oggetto della logica – Antonio Bernardino della Mirandola – detto il Mirandolano – (4) sostiene che l’oggetto della logica è costituito dall’orazione intesa come un genere dell’enunciazione: in tal senso l’orazione è ordinata in funzione dell’enunciazione, e la sua conoscenza è conseguentemente ordinata in funzione della conoscenza dell’enunciazione. Marcantonio il Genua (5) , è indicato dal Thio come proprio “maestro”, partendo dal presupposto che le famose dieci categorie aristoteliche sono voci significanti le cose, indica l’oggetto della logica nelle voci in quanto significanti le cose senza riferimento alcuno alle cose intorno all’ente in quanto ente (compito, quest’ultimo, che per il Genua spetta alla metafisica).

    Ludovico Boccadiferro (6) è, tra i contemporanei del Thio, colui che assieme a pochi altri, entrando più nello specifico della duplice composizione dell’oggetto di una qualsiasi arte (la cosa considerata e il modo di considerare), individua l’oggetto della logica nel solo modo di considerare, con il quale l’ignoto diventa noto in virtù dello strumento logico costituito dalla demonstratio propter quid.

    Ancora più puntuale si configura l’analisi da parte di due studiosi – Vincenzo Maggi (7) e Iacopo Iacomelli Romano – raggruppati dal Thio sotto la stessa posizione: in conseguenza della constatazione secondo cui Aristotele ha preposto nel 1° libro degli Analitici Primi ed epilogato nel 2° libro degli Analitici Secondi la trattazione intorno alla dimostrazione, avvalendosi anche della tripartizione dell’oggetto (principale, totale, parziale), i due affermano che la dimostrazione è l’oggetto principale della logica e il sillogismo l’oggetto totale. Tale posizione si arricchisce in qualche modo di ulteriori specificazioni: l’enunciazione e la proposizione sono la stessa cosa, essendo l’enunciazione un genere del sillogismo e la proposizione una parte dello stesso. Anche il predicato e l’oggetto sono parti dell’enunciazione.

    Tutte disquisizioni, quelle fin qui rapidamente tratteggiate, che per secoli hanno costituito terreno di aspre polemiche negli ambienti universitari dell’intera Europa inchiodandone i protagonisti alle posizioni classiche della logica medievale e umanistica, da S. Tommaso D’Aquino (l’oggetto della logica è dato dalle operazioni dell’intelletto, per cui la logica è un’arte che si interessa degli atti della ragione) a Egidio Romano (9) (i concetti come oggetto della logica, per cui la logica diventa un’arte concettuale), dal trio Filopono (10) – Ammonio (11) – Suessano (12) ( le voci e le proposizioni sono l’oggetto della logica) a Giovanni di Jandun (13) (in logica vengono considerate le cose che sono primamente e per sé, e le cose che sono soltanto per sé, ossia le cose e le intenzioni), fino allo Zimara (14) (le intenzioni, non le cose, costituiscono l’oggetto della logica).

    Altrettanto articolate sono le posizioni relative al giudizio sul famosissimo libro aristotelico delle Categorie. Premesso che tale libro si compone sostanzialmente di tre parti – Ante-Predicamenti (contiene certe cose generali che servono alla spiegazione delle categorie, i principi della conoscenza; comunque, non è un proemio vero e proprio), Trattato e Post-Predicamenti (tratta gli accidenti e le passioni o le conseguenze comuni delle dieci categorie; comunque, non è l’epilogo vero e proprio) –, il Thio conduce approfondimenti puntigliosi che possiamo sintetizzare in linea di massima in questi termini: per il Genua il libro delle Categorie è il primo tra i libri aristotelici di logica, perché tratta delle cose più semplici, e poiché le cose più semplici debbono venir prima, anche il libro de quo occupa il primo posto. Per il Mirandolano le Categorie non fanno parte della logica ma della metafisica, la quale anzi senza il libro delle Categorie verrebbe svilita. (La metafisica – è detto – riguarda, al pari delle categorie, le cose che sono più note e che sono prima in noi e in natura). Per Maggi e Iacomelli nel libro in questione vengono trattate le celebri dieci voci affinché siano propedeutiche e di sostegno alle proposizioni. Ad ampliare il ventaglio delle valutazioni intorno al quesito in oggetto si aggiunge Bernardino Tomitano (15) : il libro delle Categorie fa parte della logica e tratta delle semplici voci come principi dell’enunciazione; il libro Perihermeneias, invece, tratta della proposizione. Con ciò, ovviamente, il Tomitano si scontra con il Thio secondo il quale a trattare della proposizione è il libro degli Analitici Primi, mentre il Perihermeneias tratta dell’enunciazione in quanto genere del sillogismo.

    Ancor più vivace diventa la polemica nel momento in cui entra in campo l’Abbraccio (16) definito dal Thio “… tra i filosofi non dell’ultima classe di questa Accademia” (17) e “… filosofo sottilissimo e nostro compatriota” (18) : il libro delle Categorie – egli dice – è un proemio del libro Perihermeneias. Infatti nel primo viene data una precognizione confusa delle cose logicali, mentre nel secondo quelle medesime cose vengono conosciute in maniera chiara e distinta; l’unica differenza per l’Abbraccio è che nelle Categorie le cose logicali vengono considerate non in quanto nomi ma in quanto enti, ovvero vengono considerate le dieci voci in quanto riferentisi ai propri significati. Ad esempio, la sostanza in quanto indicante la tale cosa che può esistere per sé, ovvero in quanto si riferisce ad un significato.

    Seconda tesi dell’Abbraccio: il libro delle Categorie è necessario. Infatti le cose che sono comuni debbono essere trattate nella logica; le categorie sono comuni, quindi debbono essere trattate nella logica. Rinviando per un attimo le specifiche contestazioni del Thio in ordine alla prima tesi, il Nostro sostiene che la premessa maggiore contenuta nel secondo ragionamento dell’Abbraccio è falsa: infatti non è vero che ogni cosa comune viene considerata nella logica, ché anzi Aristotele nella logica ha stabilito le regole degli strumenti comunemente utili a tutte le arti, non le cose comuni a tutte le arti.

    E’ il momento, dunque, di tratteggiare brevemente la posizione del Thio: il libro delle Categorie non fa parte della logica. Le dieci categorie (in primis la sostanza), infatti, sono le specie essenziali dell’ente, quindi non possono essere considerate essenzialmente dal logico poiché gli oggetti logicali non sono le specie essenziali. Non basta: il libro in oggetto non è di Aristotele, ma è opera di uno Pseudo-Aristotele. Queste le argomentazioni addotte:

  • Non è costume dello Stagirita esprimersi con un discorso così lungo e chiaro qual è, appunto, quello presente nelle Categorie.
  • Manca nel testo quella forza argomentativa così tipica degli altri scritti aristotelici.
  • Premesso che ogni libro, perché sia degnamente considerato tale, deve essere costituito almeno da due parti necessarie – il proemio e il trattato –, è evidente che il libro delle Categorie non presenta un proemio ma, come dice Averroè, un quasi proemio, per cui non può appartenere ad Aristotele: “Io, dunque, credo fermamente che questo libro non appartenga ad Aristotele. Il suo modo di parlare differisce da questo quanto il cielo dalla terra” (19) .

    Quanto, poi, alla specificità dei contenuti propri del libro delle Categorie e del Perihermeneias, il Thio afferma che nel primo vengono trattati i primo intellecta, mentre nel secondo vengono conosciuti il nome e il verbo che costituiscono i secundo intellecta.

    Ultima quaestio: il libro di Porfirio (20) intitolato Isagoge è necessario? Se per necessario – argomenta il Thio – si intende ciò senza cui una cosa non è completa, allora il libro di Porfirio non è necessario alla logica che risulta ugualmente completa, tutt’al più può essere considerato utile nei procedimenti argomentativi per eventuali vantaggi. Anzi – aggiunge il Nostro – il libretto di Porfirio “poco o niente è utile allo stesso libro delle Categorie” (21) .

Cesare Daquino


NOTE

1) Cesare Daquino

Cesare Daquino (Morciano di Leuca, 1946), dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo di Gagliano del Capo, già Sindaco del Comune di Morciano di Leuca per più mandati amministrativi. Da un intenso lavoro di ricerca sulle tematiche più significative della cultura salentina sono apparsi in volume pubblicati da Capone Editore, Cavallino (Le):

Nelle edizioni ERRECI di Maglie (Le) ha pubblicato nel 1991 "Angelo Thio. L'oggetto della logica": traduzione di una delle opere superstiti di un filosofo averroista morcianese, al quale ha dedicato anche un saggio dal titolo "Angelo Thio, filosofo apulo del XVI° secolo" apparso su "Idee" Rivista di Filosofia, Milella editore - Lecce.
Nelle edizioni del Grifo di Lecce è stata pubblicata nel 2001 la "Guida alle cripte bizantine del Salento".

  • Morciano di Leuca, 1988;
  • I Messapi e Vereto, 1991;
  • La guida di Leuca, 1993;
  • Masserie del Salento, 1994;
  • Guida alle Masserie del Salento, 1999;
  • I Messapi. Il Salento prima di Roma, 1999;
  • Bizantini in terra d'Otranto, 2000;
  • I Messapi. Il Salento prima di Roma, 2^ ediz., 2006;
  • Masserie del Salento, 2^ ediz., 2007.

2) Girolamo Balduino (Montesardo, inizi del sec. XVI –1546?)

    Nacque da una ricca famiglia; il padre Giovanni, fisico rinomato, lo avviò agli studi naturalistici. Girolamo ebbe tre fratelli, di cui uno, Giovanni Francesco fu giureconsulto, e gli altri due, Bellisario e Francesco Antonio, divennero vescovi rispettivamente di Alessano e di Larino.

    La famiglia scompare da Montesardo nei primi anni del sec. XVII. Sostenne gli esami per il dottorato in artibus il 4 febbraio 1528, nel Palazzo Vescovile di Padova: esaminatore il Genua. Lo stesso anno ebbe la cattedra straordinaria di sofistica “in secondo luogo” con lo stipendio di 20 fiorini. Contemporaneamente ebbe come collega, però nella cattedra “in primo luogo”, Policleto Bleve di Montesardo. Dopo appena un anno, nel 1529, Balduino lasciò l’Università di Padova per tornare al suo paese, sicuramente per sistemare l’amministrazione delle sue proprietà (tra l’altro era proprietario di tre Castelli con tanta servitù e vassalli): la sua cattedra venne assegnata il 1° novembre 1529 a Taddeo Centulo di Arezzo.

    Dall’Università di Salerno fu offerta al Balduino nel 1530 la cattedra di logica lasciata libera dal Suessano che nel 1531 otteneva la cattedra di fisica (ovvero di medicina e filosofia) all’Università di Napoli.

    Balduino passò subito all’Università di Napoli, dove insegnò con tanto successo anche nella Scuola gestita dal Convento di San Lorenzo. Questo stesso Convento pubblicò postumi alcuni scritti del Balduino. I suoi corsi a Napoli riguardavano la logica e la fisica.

    Alla sua morte, nessuno degli scritti era stato pubblicato. Queste le edizioni degli scritti di Balduino:

  1. Perihermeneias Antonii Fasii Siculi Caccabensis, cum omnibus scriptis sui praeceptoris Hieronymi Balduini suo tempore summi logici et Philosophi Hidruntini, Milano 1549
  2. Quaesita Hieronymi Balduini de Monte Arduo Philosophi Excellentissimi, tum Naturalia cum Logicalia, etc., Napoli 1550.
  3. Joannis Vincentii Colle Sarnensis, Destructio descructionum auctorum Balduini, quas Quidem destructor adimplevit, Napoli 1554.
  4. Quesitum pulcherrimum et elucubratissimum, de medio demonstrationis potissimae, etc., Napoli 1555.
  5. Lucidissima Expositio Magnae Commentationis Averrois Primi Libri Posteriorum Analyticorum Aristotelis, etc., Napoli 1555.
  6. De propositione singulari an ingrediatur syllogismum, adversus logicastrorum Morologias Hieronymi Balduini e Montearduo Philosophi ac Logici Acutissimi, etc., Napoli 1556.
  7. Continuatio, intentio, et divisio octo librorum physicorum Aristot. a nullo umquam intellecta, adversus omnes Graecos, Arabes, et Latinos. Hieronymi Balduini e Montearduo, philosophi excellentissimi, etc., Napoli 1556.
  8. De frigiditate terrae. Quaesitum novum et optatissimum, etc., s.1. né d., ma Napoli 1556.
  9. Hieronymi Balduini de Monte Arduo logicorum et philosophorum suae tempestatis facile principis vera germanaque Expositio in prologum primi poste. Aristot., etc., Napoli 1556.
  10. Hieronymi Balduini de Monte Arduo logicorum ac philosophorum suae tempestatis facile Principis vera germanaque Expositio in tractatum primi Poste. Arist., etc., Napoli 1556.
  11. De regressu Demonstrativo Hieronymi Balduini de Monte Arduo, Philos. Solertiss. Quaesitum optatissimum, etc., Napoli 1557.
  12. Hieronymi Balduini Quaesitum novum et pulcherrimum, ac optatissimum contra Scotum, ac communem viam, in quo enucleatur, an de subiecto praecognoscatur, si est, etc., Napoli 1557.
  13. Primi libri Physicorum Aristotelis Proemii expositio doctissima, et clarissima Hieronymi Balduini, etc. Napoli 1559.
  14. Clarissima expositio domini Hieronymi Balduini de Monte Arduo philosophi celeberrimi medices peritissimi, ac logices exsquisitissimi super prologum Magnae Commentationis, etc., Napoli 1559.
  15. Quaesita duo logicalia, etc., Napoli 1561.
  16. Quesita logicalia domini Hieronymi Balduini de Monte Arduo Philosophi celeberrimi omnibus pernecessaria logicis, etc., Napoli 1561.
  17. Hieronymi Balduini Philosophi peritissimi Expositio in librum primum Posteriorum Aristotelis, etc., Venezia 1563.
  18. Hieronymi Balduini e Montearduo viri doctissimi Expositio in libellum Porphyrii de quinque vocibus, etc., Venezia 1563.
  19. Hieronymi Balduini Philosophi celeberrimi varii generis in logica quaesita, etc., Venezia 1569.
  20. Hieronymi Balduini e Montearduo Philosophi Excellentiss. ac Celeberrimi Expositio aurea in libros aliquot Physicorum Aristotelis et Averrois, etc., Venezia 1573.
Per la conoscenza del Balduino è fondamentale:
Giovanni Papuli, "Girolamo Balduino. Ricerche sulla logica della Scuola di Padova nel Rinascimento", Lacaita Editore, Manduria 1967.

3) Antonio Andrea

Autore dell'opera "Quaestiones super Metaphysicam", fu tra i primi discepoli di Duns Scoto e tra i più fedeli. Per il suo carattere affabile venne chiamato doctor Dulcissimus. Morì intorno al 1320. Le notizie più complete su Antonio Andrea sono in: I. Vazque Janeiro, Rutas e hitos del escotismo primitivo en Espana, in Homo et Mundus: Acta quinti Congressus Scotistici Internationalis, Salamanticae, 21-26 Septembris 1981, Societas Internationalis Scotistica, Roma 1984, pp. 419-436.

4) Antonio Bernardi della Mirandola, detto Bernardino Mirandolano (1502 – 1565).

Fu un averroista della corrente di Sigieri di Brabante.

La sua opera più nota è intitolata Institutio in universam logicam (Basilea 1545).

5) Marcantonio de’ Passeri detto il Genua

    Era figlio di Nicolò Genua, celebre maestro della facoltà patavina delle Arti e Medicina, morto nel 1522.

    Marcantonio si addottorò a Padova nell’anno accademico 1511 – 1512. Negli anni 1517 – 1518 insegnò a Padova “filosofia straordinaria in secondo” con lo stipendio di 40 fiorini, nel 1521 lo stipendio era salito a 60 fiorini, nel 1523 a 80 fiorini, nel 1529 a 180 fiorini.

    Nel 1535 fu l’esaminatore di Girolamo Balduino e di Bernardino Tomitano a Padova durante l’esame di dottorato in artibus.

    Morì più che settantenne nel 1563 fra il compianto generale.

    La sua opera più famosa, tanto da essere ritenuta uno dei più notevoli commenti ad Aristotele nel Rinascimento, è intitolata In tres libros Aristotelis de Anima exactissimi Commentarii, pubblicata postuma a Venezia nel 1576 a cura di Giacomo Pratelli e di Giancarlo Saraceno.

6) Ludovico Boccadiferro

    Discepolo a Bologna di Alessandro Achillini, nella stessa città ne continuerà l’insegnamento averroistico dal 1517 fino alla morte nel 1545, con la sola interruzione di tre anni (1524-1527).

    Si faceva chiamare anche con il cognome erudito Siderostomo.

    Sue opere più importanti:

  • In duos libros Aristotelis de generatione et corruptione Commentaria, Venezia 1571.
  • Aristotelis de physico audito liber primus explicatus, Basilea 1571.
  • Quaestio de immortalitate animae. E’ un manoscritto contenente 11 lezioni giunteci nei seguenti codici in due redazioni un po’ diverse l’una dall’altra:
    • Cod. Vat. lat. 4701, ff 86v – 133v;
    • Cod. Vat. lat. 4710, ff. 204r – 255r;
    • Cod. Magliabech., Conv., Soppr.,F. 51, ff. 96 – 147. (Cfr. Bruno Nardi, Saggi sull’aristotelismo padovano dal secolo XIV al XVI, Sansoni Editore, Firenze 1958).

7) Vincenzo Maggi (Vincentius de Madiis).

    Era di Brescia, di una generazione più giovane del Thio. Fu chiamato a coprire il posto lasciato dallo Zimara nell’Università di Padova il 29 ottobre 1529 con lo stipendio di 47 fiorini.

    Discepolo dello stesso Zimara, si era addottorato in artibus appena un anno prima, però era già molto noto nell’ambiente per il suo acume e per la sua profonda conoscenza del greco.

    Nel 1531 lo stipendio era passato a 125 fiorini; l’anno successivo il Maggi diventava concorrente del Genua, finché nel 1535 vedeva aumentare il suo stipendio a 300 fiorini.

    Dal 1542 fino alla morte, per circa un ventennio, insegnò ininterrottamente nello studio di Ferrara.

    Al suo nome il Thio affianca sempre quello di Iacopo Iacomelli Romano.

    Purtroppo la stragrande maggioranza della produzione del Maggi rimase manoscritta, per cui oggi restano soltanto poche cose superstiti. (Cfr. Jacobi Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Padova 1757, Ristampa anastatica presso Arnaldo Forni Editore, Sala Bolognese 1978).

8) Egidio Romano (Roma 1247 – Avignone 22 dicembre 1316).

    Fu scolaro di S. Tommaso D’Aquino a Parigi negli anni 1268-1272, assimilandone profondamente il pensiero e diventandone strenuo difensore nell’infuriare della polemica sul tomismo. Diventò maestro a Parigi , finché non venne consacrato arcivescovo di Bourges nel 1259 da papa Bonifacio VIII. Fra le sue opere più importanti ricordiamo quelle che hanno avuto numerose edizioni al tempo del Thio: “Liber contra gradus et pluralitates formarum, Quodlibeta, Quiaestiones disputatae de ente et essentia, De Mensura et cognitione angelorum, Theoremata de corpore Christi, Commentario alle feutenze, De regimine principum, De ecclesiastica sive Summi Pontificis potestate”.

9) Giovanni Filopono (= Amante del lavoro), detto anche il Grammatico, originario di Alessandria d’Egitto (Inizi del sec. VI –580 circa).

    Nel Medioevo godette di una fama senz’altro superiore ai meriti effettivi. Discepolo di Ammonio, contemporaneo del grande imperatore Giustiniano, fu il caposcuola della setta dei triteisti secondo cui nella Trinità alle tre persone corrispondono tre nature, quasi tre divinità distinte nella Trinità.

    Vastissima la sua produzione letteraria: fu autore di scritti grammaticali, di commentari alle opere aristoteliche (Organo, Fisica, Anima, Metafisica), di scritti teologici (L’arbitrio o sull’unione, L’eternità del mondo, Sulla resurrezione, ecc.), nonché di vari opuscoli.

10) Ammonio (Alessandria d’Egitto, 175 – 242 d.C. Circa)

    Fondatore del neoplatonismo e maestro di Plotino. Per il fatto che in gioventù, per vivere, fu costretto a trasportare sacchi, ebbe il soprannome Sacca.

    Ammonio, sull’esempio di Socrate, non ha lasciato alcuno scritto.

11) Agostino Nifo, detto il Suessano dalla sua città natale Sessa in Campania (1473 – 1546).

    Insegnò nelle Università di Padova, Napoli, Pisa, Salerno, Bologna e Roma. Si definì sempre un averroista; di fatto il suo averroismo fu abbastanza confuso e incline verso soluzioni eclettiche dettate dall’urgenza delle circostanze storiche e accademiche. A seguito di incarico da parte del papa Leone X compose l’opera Tractatus de immortalitate animae contra Pomponatium (Venezia 1518) con lo scopo di confutare le concezioni radicali del Pomponazzi in nome di un aristotelismo più vicino alle interpretazioni tomistiche. Pomponazzi rispose a sua volta con lo scritto Defensorium contra Nyphum.

    Il Nifo fu autore di numerosi Commentari alle opere di Aristotele (raccolti e pubblicati a Parigi nel 1654 in 14 volumi), tra i quali fu oggetto di accese polemiche la Expositio Aristotelis de phisico auditu (Venezia 1552).

    Negli anni 1495 – 1497 pubblicò l’Opera Omnia di Averroè, apponendovi le sue note di commento.

    Nel campo della morale il Nifo professò una sorta di pratico edonismo che gli attirò critiche e pettegolezzi.

    Altre sue opere:

  • De intellectu et daemonibus, Padova 1492: vi è sostenuto che le intelligenze motrici dei cieli sono le uniche sostanze spirituali e immortali.
  • De infinitate primi motoris, Venezia 1504.
  • De pulchro et amore, Roma 1531.
  • De regnandi peritia, Napoli 1523, che è una sorta di versione libera in latino del Principe di Niccolò Machiavelli.

12) Giovanni di Jandun (Parigi? - Todi 1328).

    Il filosofo delle Ardenne molto amico del celeberrimo Marsilio da Padova. Nella lotta tra Impero e Papato, si schierò assieme all’amico a favore dell’imperatore Ludovico il Bavaro contro Papa Giovanni XXII, ricevendo la scomunica e trovando rifugio presso l’imperatore. Le sue opere riguardano soprattutto Commentari a opere di Aristotele (Quaestiones in XII libros Metaphysicae; Physica, De coelo et mundo, Parva naturalia). La sua caratteristica di fondo è un atteggiamento di scetticismo nei confronti di tutti gli indirizzi filosofici ivi incluso lo stesso Averroismo di cui egli fu interprete profondo e acuto. (Cfr. Giuseppe Dell’Anna, Giovanni di Yandun ed il problema dell’Immaginatio, Congedo Editore, Galatina 1985).

13) Marcantonio Zimara (Galatina 1460 – Padova 1523).

    Fu discepolo del grande Pietro Pomponazzi a Padova, ma se ne staccò a motivo della diversità di interpretazione dell’averroismo. Il Pomponazzi esercitò la sua autorevole influenza per ostacolare la carriera universitaria dello Zimara, sul quale peraltro ha sempre pesato negativamente il giudizio stroncatorio dato dal celebre Pietro Bembo in una lettera del 6 ottobre 1525 a G.B. Rannusio :”tutto barbaro e pieno di quella feccia di dottrina, che ora si fugge, come la mala ventura” (cfr. Pietro Bembo, Opere, Venezia 1729, tomo III, p. 118). Fu eletto sindaco di Galatina nel 1514; l’anno seguente gli nacque il figlio Teofilo. Per secoli la sua fama è stata legata soprattutto all’opera Antrum magico-medicum: la critica contemporanea è sostanzialmente d’accordo nel negarne la paternità zimariana. (Cfr. Antonio Antonaci; Ricerche sull’Aristotelismo del Rinascimento. Marcantonio Zimara. Volume 1, Editrice Salentina, Galatina 1971).

    Si laureò anche in medicina.

    Sue opere:

  • Solutiones contradictionum, Venezia 1508
  • Theoremata, Napoli 1523
  • Problemata, pubblicati postumi nel 1536 a Venezia.
  • Tabula dilucidationum, pubblicata postuma nel 1537 a Venezia da Agostino Ricco da Lucca.

    Moltissimi i Commentari (alla Logica, Fisica e Metafisica di Aristotele, a Temistio, a Giovanni di Baconthorp, a Erveo di Nédellec, a Giovanni di Jandun, ad Alberto Magno).

14) Bernardino da Feltre detto il Tomitano (+ 1576).

    Coetaneo di Girolamo Balduino, seguì assieme al filosofo di Montesardo i corsi del Genua; il Genua, infatti, fu l’esaminatore dei due laureandi nel 1535 per il dottorato in artibus.

    Fra i suoi scritti più importanti ricordiamo:

  • Bernardini Tomitani artium doctoris Introductio ad sophisticos elenchos Aristotelis, Eiusque brevis methodus diluendorum paralogismorum per divisionem. Adiecta sunt famigerata vetrum Sophismatum exempla, Venetiis 1544. Quest’opera, nota con il titolo abbreviato Introduzione agli elenchi sofistici di Aristotele, è un trattato in tre libri, di cui la parte più famosa è costituita dal settimo capitolo del terzo libro; qui il Tomitano illustra la sua teoria dei quattro metodi di insegnamento e. quindi, di ricerca speculativa:
    1. metodo divisivo, il quale consiste nel dividere il genere nelle sue differenze;
    2. metodo definitivo, il quale consiste nel dedurre l’essenza di una cosa dai suoi elementi;
    3. metodo risolutivo, il quale consiste nello scomporre i composti nelle loro parti più semplici;
    4. metodo dimostrativo, il quale consiste nell’affermare che la proprietà di cui si discute è presente nel dato di cui si discute.
    In riferimento alla perfezione, l’ordine dei predetti metodi è il seguente: dimostrativo, definitivo, risolutivo, divisivo. In conclusione per il Tomitano la divisione è il metodo capace di debellare tutti i paralogismi. (Cfr. Angelo Crescini, Le origini del metodo analitico. Il Cinquecento, Del Bianco Editore, Udine 1965).
  • Contradictionum solutiones in Aristotelis et Averrois dicta in primum librum Posteriorum resolutoriorum, in Aristotelis Opera cum Bernardini Tomitani animadversionibus, Venezia 1562.

15) Abbraccio D’Ales

    Fu di Gravina in Puglia. Nel 1531 insegnò “filosofia straordinaria in primo” all’Università di Padova con lo stipendio iniziale di 47 fiorini; nel 1543 lo stipendio era aumentato a 100 fiorini. Nel 1543 passò all’insegnamento di “filosofia ordinaria in secondo” con lo stipendio di 150 fiorini; nel 1556 lo stipendio era passato a 300 fiorini. Nel 1564 tornò all’insegnamento iniziale con lo stipendio di 350 fiorini.

    Sue opere:

  • Ambrosii del Ales gravinatis Speculatio in qua indagatur quoniam humanus animus cognitione ipsum universitatis genitorem concernat, Padova 1565.
  • Speculatio de scientia quam habet aliorum, Napoli 1576.
  • Defensio opinionis Simplicii de subiecto (manoscritto). (Cfr. Teodoro Massa, Pugliesi nell’Ateneo padovano, in “Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti, 1905).

16) Angelo Thio, Quaesitum et praecognitiones, Padova 1547, p. 18, c.2, traduz. C. Daquino.

 

17) Ibid., p. 18, c. 3

 

18) Ibid, p. 27, c. 4

 

19) Porfirio di Tiro (233 - 305 d.C.?)

    Discepolo di Plotino a Roma, pubblicò gli scritti del maestro sistemandoli in sei Enneadi. Famoso anche per l’opera Introduzione alle Categorie di Aristotele meglio nota con il titolo Isagoge (= Introduzione), una specie di commentario delle Categorie di Aristotele in forma dialogica; più in particolare tratta delle celebri quinque voces, ovvero dei concetti genus, species, differentia, proprium, accidens, così a lungo analizzati nelle lezioni universitarie del Thio: cinque predicabili che a parere di Porfirio debbono necessariamente essere considerati nella logica.

20) Angelo Thio, Quaesitum et praecognitiones, op. cit., p. 36, c. 1.

 

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