INTRODUZIONECon la presente pubblicazione completiamo il lavoro di traduzione dell’opera superstite di Angelo Thio averroista morcianese del XVI° secolo. Di questo filosofo abbiamo scritto in varie circostanze (1) , mettendone in luce limiti e meriti, campo d’azione e probabili elementi di attualità. E’ certo che, pur insegnando in una delle più prestigiose Università italiane – quella di Padova –, dovette lottare contro alcune condizioni sfavorevoli, in primis la tendenza antimeridionalista dell’Italia settentrionale in pieno Rinascimento, poi l’autorevolezza di un maestro – Girolamo Balduino (2) – che lo aveva immediatamente preceduto nella stessa cattedra patavina, e ancora un carattere eccessivamente riservato che spesso lo sospingeva al di qua del suo pur dichiarato amore assoluto per la verità. Su tutto, però, vince una conoscenza puntuale di Aristotele sia direttamente attraverso le opere dello Stagirita sia attraverso tutti i Commentari susseguitisi nel corso dei secoli. Al fine di evitare inutili ripetizioni, ci limiteremo qui ad integrare il ritratto del Thio mediante l’esposizione schematica di fondamentali idee-guida presenti nel testo tradotto nonché delle posizioni dei vari filosofi in merito ai quesiti posti sul tappeto dal pensatore salentino. Alla base di tutto opera la convinzione del Nostro che tre sono le cause che impediscono all’uomo di poter distinguere la verità: in primo luogo il cattivo ingegno o natura perversa, in secondo luogo il mal costume, in terzo luogo la logica cattiva. D’altronde non è cosa facile – continua il Thio – districarsi nella selva delle problematiche legate alle interpretazioni di Aristotele, soprattutto se si pensa che tutti i logici Greci, ad eccezione di Temistio e di Alessandro, debbono sostanzialmente essere ritenuti ingannatori piuttosto che corretti commentatori della dottrina peripatetica: unica ancora di salvezza, in assoluto, nell’universo del pensiero filosofico di tutti i tempi, resta Averroè, il solo che sia riuscito a conoscere a fondo il cuore di Aristotele. Intanto diamo per scontate e già note alcune premesse essenziali nella speculazione filosofica del Thio:
Per quanto riguarda la posizione di Angelo Thio nei confronti delle varie questioni filosofiche dibattute con veemenza negli ambienti accademici dell’epoca, è opportuno procedere sintetizzando – quesito dopo quesito – i punti di vista dei pensatori coinvolti nel testo e concludendo di volta in volta con la enucleazione della proposta del professore morcianese: fatica non facile, se si pensa che lo stesso Thio, trascurando ragioni minime di chiarezza espositiva, colpisce a fondo gli interlocutori mettendoli l’uno contro l’altro o assumendo la difesa d’ufficio dell’uno ai danni dell’avversario di turno. In merito al quesito che fa da leit-motiv nelle due opere superstiti del Thio – qual è l’oggetto della logica – Antonio Bernardino della Mirandola – detto il Mirandolano – (4) sostiene che l’oggetto della logica è costituito dall’orazione intesa come un genere dell’enunciazione: in tal senso l’orazione è ordinata in funzione dell’enunciazione, e la sua conoscenza è conseguentemente ordinata in funzione della conoscenza dell’enunciazione. Marcantonio il Genua (5) , è indicato dal Thio come proprio “maestro”, partendo dal presupposto che le famose dieci categorie aristoteliche sono voci significanti le cose, indica l’oggetto della logica nelle voci in quanto significanti le cose senza riferimento alcuno alle cose intorno all’ente in quanto ente (compito, quest’ultimo, che per il Genua spetta alla metafisica). Ludovico Boccadiferro (6) è, tra i contemporanei del Thio, colui che assieme a pochi altri, entrando più nello specifico della duplice composizione dell’oggetto di una qualsiasi arte (la cosa considerata e il modo di considerare), individua l’oggetto della logica nel solo modo di considerare, con il quale l’ignoto diventa noto in virtù dello strumento logico costituito dalla demonstratio propter quid. Ancora più puntuale si configura l’analisi da parte di due studiosi – Vincenzo Maggi (7) e Iacopo Iacomelli Romano – raggruppati dal Thio sotto la stessa posizione: in conseguenza della constatazione secondo cui Aristotele ha preposto nel 1° libro degli Analitici Primi ed epilogato nel 2° libro degli Analitici Secondi la trattazione intorno alla dimostrazione, avvalendosi anche della tripartizione dell’oggetto (principale, totale, parziale), i due affermano che la dimostrazione è l’oggetto principale della logica e il sillogismo l’oggetto totale. Tale posizione si arricchisce in qualche modo di ulteriori specificazioni: l’enunciazione e la proposizione sono la stessa cosa, essendo l’enunciazione un genere del sillogismo e la proposizione una parte dello stesso. Anche il predicato e l’oggetto sono parti dell’enunciazione. Tutte disquisizioni, quelle fin qui rapidamente tratteggiate, che per secoli hanno costituito terreno di aspre polemiche negli ambienti universitari dell’intera Europa inchiodandone i protagonisti alle posizioni classiche della logica medievale e umanistica, da S. Tommaso D’Aquino (l’oggetto della logica è dato dalle operazioni dell’intelletto, per cui la logica è un’arte che si interessa degli atti della ragione) a Egidio Romano (9) (i concetti come oggetto della logica, per cui la logica diventa un’arte concettuale), dal trio Filopono (10) – Ammonio (11) – Suessano (12) ( le voci e le proposizioni sono l’oggetto della logica) a Giovanni di Jandun (13) (in logica vengono considerate le cose che sono primamente e per sé, e le cose che sono soltanto per sé, ossia le cose e le intenzioni), fino allo Zimara (14) (le intenzioni, non le cose, costituiscono l’oggetto della logica). Altrettanto articolate sono le posizioni relative al giudizio sul famosissimo libro aristotelico delle Categorie. Premesso che tale libro si compone sostanzialmente di tre parti – Ante-Predicamenti (contiene certe cose generali che servono alla spiegazione delle categorie, i principi della conoscenza; comunque, non è un proemio vero e proprio), Trattato e Post-Predicamenti (tratta gli accidenti e le passioni o le conseguenze comuni delle dieci categorie; comunque, non è l’epilogo vero e proprio) –, il Thio conduce approfondimenti puntigliosi che possiamo sintetizzare in linea di massima in questi termini: per il Genua il libro delle Categorie è il primo tra i libri aristotelici di logica, perché tratta delle cose più semplici, e poiché le cose più semplici debbono venir prima, anche il libro de quo occupa il primo posto. Per il Mirandolano le Categorie non fanno parte della logica ma della metafisica, la quale anzi senza il libro delle Categorie verrebbe svilita. (La metafisica – è detto – riguarda, al pari delle categorie, le cose che sono più note e che sono prima in noi e in natura). Per Maggi e Iacomelli nel libro in questione vengono trattate le celebri dieci voci affinché siano propedeutiche e di sostegno alle proposizioni. Ad ampliare il ventaglio delle valutazioni intorno al quesito in oggetto si aggiunge Bernardino Tomitano (15) : il libro delle Categorie fa parte della logica e tratta delle semplici voci come principi dell’enunciazione; il libro Perihermeneias, invece, tratta della proposizione. Con ciò, ovviamente, il Tomitano si scontra con il Thio secondo il quale a trattare della proposizione è il libro degli Analitici Primi, mentre il Perihermeneias tratta dell’enunciazione in quanto genere del sillogismo. Ancor più vivace diventa la polemica nel momento in cui entra in campo l’Abbraccio (16) definito dal Thio “… tra i filosofi non dell’ultima classe di questa Accademia” (17) e “… filosofo sottilissimo e nostro compatriota” (18) : il libro delle Categorie – egli dice – è un proemio del libro Perihermeneias. Infatti nel primo viene data una precognizione confusa delle cose logicali, mentre nel secondo quelle medesime cose vengono conosciute in maniera chiara e distinta; l’unica differenza per l’Abbraccio è che nelle Categorie le cose logicali vengono considerate non in quanto nomi ma in quanto enti, ovvero vengono considerate le dieci voci in quanto riferentisi ai propri significati. Ad esempio, la sostanza in quanto indicante la tale cosa che può esistere per sé, ovvero in quanto si riferisce ad un significato. Seconda tesi dell’Abbraccio: il libro delle Categorie è necessario. Infatti le cose che sono comuni debbono essere trattate nella logica; le categorie sono comuni, quindi debbono essere trattate nella logica. Rinviando per un attimo le specifiche contestazioni del Thio in ordine alla prima tesi, il Nostro sostiene che la premessa maggiore contenuta nel secondo ragionamento dell’Abbraccio è falsa: infatti non è vero che ogni cosa comune viene considerata nella logica, ché anzi Aristotele nella logica ha stabilito le regole degli strumenti comunemente utili a tutte le arti, non le cose comuni a tutte le arti. E’ il momento, dunque, di tratteggiare brevemente la posizione del Thio: il libro delle Categorie non fa parte della logica. Le dieci categorie (in primis la sostanza), infatti, sono le specie essenziali dell’ente, quindi non possono essere considerate essenzialmente dal logico poiché gli oggetti logicali non sono le specie essenziali. Non basta: il libro in oggetto non è di Aristotele, ma è opera di uno Pseudo-Aristotele. Queste le argomentazioni addotte:
Quanto, poi, alla specificità dei contenuti propri del libro delle Categorie e del Perihermeneias, il Thio afferma che nel primo vengono trattati i primo intellecta, mentre nel secondo vengono conosciuti il nome e il verbo che costituiscono i secundo intellecta. Ultima quaestio: il libro di Porfirio (20) intitolato Isagoge è necessario? Se per necessario – argomenta il Thio – si intende ciò senza cui una cosa non è completa, allora il libro di Porfirio non è necessario alla logica che risulta ugualmente completa, tutt’al più può essere considerato utile nei procedimenti argomentativi per eventuali vantaggi. Anzi – aggiunge il Nostro – il libretto di Porfirio “poco o niente è utile allo stesso libro delle Categorie” (21) . Cesare Daquino NOTE1) Cesare DaquinoCesare Daquino (Morciano di Leuca, 1946), dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo di Gagliano del Capo, già Sindaco del Comune di Morciano di Leuca per più mandati amministrativi. Da un intenso lavoro di ricerca sulle tematiche più significative della cultura salentina sono apparsi in volume pubblicati da Capone Editore, Cavallino (Le): Nelle edizioni ERRECI di Maglie (Le) ha pubblicato
nel 1991 "Angelo Thio. L'oggetto della logica":
traduzione di una delle opere superstiti di un filosofo
averroista morcianese, al quale ha dedicato anche un saggio dal
titolo "Angelo Thio, filosofo apulo del XVI°
secolo" apparso su "Idee" Rivista di Filosofia,
Milella editore - Lecce.
2) Girolamo Balduino (Montesardo, inizi del sec. XVI –1546?)Nacque da una ricca famiglia; il padre Giovanni, fisico rinomato, lo avviò agli studi naturalistici. Girolamo ebbe tre fratelli, di cui uno, Giovanni Francesco fu giureconsulto, e gli altri due, Bellisario e Francesco Antonio, divennero vescovi rispettivamente di Alessano e di Larino. La famiglia scompare da Montesardo nei primi anni del sec. XVII. Sostenne gli esami per il dottorato in artibus il 4 febbraio 1528, nel Palazzo Vescovile di Padova: esaminatore il Genua. Lo stesso anno ebbe la cattedra straordinaria di sofistica “in secondo luogo” con lo stipendio di 20 fiorini. Contemporaneamente ebbe come collega, però nella cattedra “in primo luogo”, Policleto Bleve di Montesardo. Dopo appena un anno, nel 1529, Balduino lasciò l’Università di Padova per tornare al suo paese, sicuramente per sistemare l’amministrazione delle sue proprietà (tra l’altro era proprietario di tre Castelli con tanta servitù e vassalli): la sua cattedra venne assegnata il 1° novembre 1529 a Taddeo Centulo di Arezzo. Dall’Università di Salerno fu offerta al Balduino nel 1530 la cattedra di logica lasciata libera dal Suessano che nel 1531 otteneva la cattedra di fisica (ovvero di medicina e filosofia) all’Università di Napoli. Balduino passò subito all’Università di Napoli, dove insegnò con tanto successo anche nella Scuola gestita dal Convento di San Lorenzo. Questo stesso Convento pubblicò postumi alcuni scritti del Balduino. I suoi corsi a Napoli riguardavano la logica e la fisica. Alla sua morte, nessuno degli scritti era stato pubblicato. Queste le edizioni degli scritti di Balduino:
Giovanni Papuli, "Girolamo Balduino. Ricerche sulla logica della Scuola di Padova nel Rinascimento", Lacaita Editore, Manduria 1967. 3) Antonio AndreaAutore dell'opera "Quaestiones super Metaphysicam", fu tra i primi discepoli di Duns Scoto e tra i più fedeli. Per il suo carattere affabile venne chiamato doctor Dulcissimus. Morì intorno al 1320. Le notizie più complete su Antonio Andrea sono in: I. Vazque Janeiro, Rutas e hitos del escotismo primitivo en Espana, in Homo et Mundus: Acta quinti Congressus Scotistici Internationalis, Salamanticae, 21-26 Septembris 1981, Societas Internationalis Scotistica, Roma 1984, pp. 419-436. 4) Antonio Bernardi della Mirandola, detto Bernardino Mirandolano (1502 – 1565).Fu un averroista della corrente di Sigieri di Brabante. La sua opera più nota è intitolata Institutio in universam logicam (Basilea 1545). 5) Marcantonio de’ Passeri detto il GenuaEra figlio di Nicolò Genua, celebre maestro della facoltà patavina delle Arti e Medicina, morto nel 1522. Marcantonio si addottorò a Padova nell’anno accademico 1511 – 1512. Negli anni 1517 – 1518 insegnò a Padova “filosofia straordinaria in secondo” con lo stipendio di 40 fiorini, nel 1521 lo stipendio era salito a 60 fiorini, nel 1523 a 80 fiorini, nel 1529 a 180 fiorini. Nel 1535 fu l’esaminatore di Girolamo Balduino e di Bernardino Tomitano a Padova durante l’esame di dottorato in artibus. Morì più che settantenne nel 1563 fra il compianto generale. La sua opera più famosa, tanto da essere ritenuta uno dei più notevoli commenti ad Aristotele nel Rinascimento, è intitolata In tres libros Aristotelis de Anima exactissimi Commentarii, pubblicata postuma a Venezia nel 1576 a cura di Giacomo Pratelli e di Giancarlo Saraceno. 6) Ludovico BoccadiferroDiscepolo a Bologna di Alessandro Achillini, nella stessa città ne continuerà l’insegnamento averroistico dal 1517 fino alla morte nel 1545, con la sola interruzione di tre anni (1524-1527). Si faceva chiamare anche con il cognome erudito Siderostomo. Sue opere più importanti:
7) Vincenzo Maggi (Vincentius de Madiis).Era di Brescia, di una generazione più giovane del Thio. Fu chiamato a coprire il posto lasciato dallo Zimara nell’Università di Padova il 29 ottobre 1529 con lo stipendio di 47 fiorini. Discepolo dello stesso Zimara, si era addottorato in artibus appena un anno prima, però era già molto noto nell’ambiente per il suo acume e per la sua profonda conoscenza del greco. Nel 1531 lo stipendio era passato a 125 fiorini; l’anno successivo il Maggi diventava concorrente del Genua, finché nel 1535 vedeva aumentare il suo stipendio a 300 fiorini. Dal 1542 fino alla morte, per circa un ventennio, insegnò ininterrottamente nello studio di Ferrara. Al suo nome il Thio affianca sempre quello di Iacopo Iacomelli Romano. Purtroppo la stragrande maggioranza della produzione del Maggi rimase manoscritta, per cui oggi restano soltanto poche cose superstiti. (Cfr. Jacobi Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Padova 1757, Ristampa anastatica presso Arnaldo Forni Editore, Sala Bolognese 1978). 8) Egidio Romano (Roma 1247 – Avignone 22 dicembre 1316).Fu scolaro di S. Tommaso D’Aquino a Parigi negli anni 1268-1272, assimilandone profondamente il pensiero e diventandone strenuo difensore nell’infuriare della polemica sul tomismo. Diventò maestro a Parigi , finché non venne consacrato arcivescovo di Bourges nel 1259 da papa Bonifacio VIII. Fra le sue opere più importanti ricordiamo quelle che hanno avuto numerose edizioni al tempo del Thio: “Liber contra gradus et pluralitates formarum, Quodlibeta, Quiaestiones disputatae de ente et essentia, De Mensura et cognitione angelorum, Theoremata de corpore Christi, Commentario alle feutenze, De regimine principum, De ecclesiastica sive Summi Pontificis potestate”. 9) Giovanni Filopono (= Amante del lavoro), detto anche il Grammatico, originario di Alessandria d’Egitto (Inizi del sec. VI –580 circa).Nel Medioevo godette di una fama senz’altro superiore ai meriti effettivi. Discepolo di Ammonio, contemporaneo del grande imperatore Giustiniano, fu il caposcuola della setta dei triteisti secondo cui nella Trinità alle tre persone corrispondono tre nature, quasi tre divinità distinte nella Trinità. Vastissima la sua produzione letteraria: fu autore di scritti grammaticali, di commentari alle opere aristoteliche (Organo, Fisica, Anima, Metafisica), di scritti teologici (L’arbitrio o sull’unione, L’eternità del mondo, Sulla resurrezione, ecc.), nonché di vari opuscoli. 10) Ammonio (Alessandria d’Egitto, 175 – 242 d.C. Circa)Fondatore del neoplatonismo e maestro di Plotino. Per il fatto che in gioventù, per vivere, fu costretto a trasportare sacchi, ebbe il soprannome Sacca. Ammonio, sull’esempio di Socrate, non ha lasciato alcuno scritto. 11) Agostino Nifo, detto il Suessano dalla sua città natale Sessa in Campania (1473 – 1546).Insegnò nelle Università di Padova, Napoli, Pisa, Salerno, Bologna e Roma. Si definì sempre un averroista; di fatto il suo averroismo fu abbastanza confuso e incline verso soluzioni eclettiche dettate dall’urgenza delle circostanze storiche e accademiche. A seguito di incarico da parte del papa Leone X compose l’opera Tractatus de immortalitate animae contra Pomponatium (Venezia 1518) con lo scopo di confutare le concezioni radicali del Pomponazzi in nome di un aristotelismo più vicino alle interpretazioni tomistiche. Pomponazzi rispose a sua volta con lo scritto Defensorium contra Nyphum. Il Nifo fu autore di numerosi Commentari alle opere di Aristotele (raccolti e pubblicati a Parigi nel 1654 in 14 volumi), tra i quali fu oggetto di accese polemiche la Expositio Aristotelis de phisico auditu (Venezia 1552). Negli anni 1495 – 1497 pubblicò l’Opera Omnia di Averroè, apponendovi le sue note di commento. Nel campo della morale il Nifo professò una sorta di pratico edonismo che gli attirò critiche e pettegolezzi. Altre sue opere:
12) Giovanni di Jandun (Parigi? - Todi 1328).Il filosofo delle Ardenne molto amico del celeberrimo Marsilio da Padova. Nella lotta tra Impero e Papato, si schierò assieme all’amico a favore dell’imperatore Ludovico il Bavaro contro Papa Giovanni XXII, ricevendo la scomunica e trovando rifugio presso l’imperatore. Le sue opere riguardano soprattutto Commentari a opere di Aristotele (Quaestiones in XII libros Metaphysicae; Physica, De coelo et mundo, Parva naturalia). La sua caratteristica di fondo è un atteggiamento di scetticismo nei confronti di tutti gli indirizzi filosofici ivi incluso lo stesso Averroismo di cui egli fu interprete profondo e acuto. (Cfr. Giuseppe Dell’Anna, Giovanni di Yandun ed il problema dell’Immaginatio, Congedo Editore, Galatina 1985). 13) Marcantonio Zimara (Galatina 1460 – Padova 1523).Fu discepolo del grande Pietro Pomponazzi a Padova, ma se ne staccò a motivo della diversità di interpretazione dell’averroismo. Il Pomponazzi esercitò la sua autorevole influenza per ostacolare la carriera universitaria dello Zimara, sul quale peraltro ha sempre pesato negativamente il giudizio stroncatorio dato dal celebre Pietro Bembo in una lettera del 6 ottobre 1525 a G.B. Rannusio :”tutto barbaro e pieno di quella feccia di dottrina, che ora si fugge, come la mala ventura” (cfr. Pietro Bembo, Opere, Venezia 1729, tomo III, p. 118). Fu eletto sindaco di Galatina nel 1514; l’anno seguente gli nacque il figlio Teofilo. Per secoli la sua fama è stata legata soprattutto all’opera Antrum magico-medicum: la critica contemporanea è sostanzialmente d’accordo nel negarne la paternità zimariana. (Cfr. Antonio Antonaci; Ricerche sull’Aristotelismo del Rinascimento. Marcantonio Zimara. Volume 1, Editrice Salentina, Galatina 1971). Si laureò anche in medicina. Sue opere:
Moltissimi i Commentari (alla Logica, Fisica e Metafisica di Aristotele, a Temistio, a Giovanni di Baconthorp, a Erveo di Nédellec, a Giovanni di Jandun, ad Alberto Magno). 14) Bernardino da Feltre detto il Tomitano (+ 1576).Coetaneo di Girolamo Balduino, seguì assieme al filosofo di Montesardo i corsi del Genua; il Genua, infatti, fu l’esaminatore dei due laureandi nel 1535 per il dottorato in artibus. Fra i suoi scritti più importanti ricordiamo:
15) Abbraccio D’AlesFu di Gravina in Puglia. Nel 1531 insegnò “filosofia straordinaria in primo” all’Università di Padova con lo stipendio iniziale di 47 fiorini; nel 1543 lo stipendio era aumentato a 100 fiorini. Nel 1543 passò all’insegnamento di “filosofia ordinaria in secondo” con lo stipendio di 150 fiorini; nel 1556 lo stipendio era passato a 300 fiorini. Nel 1564 tornò all’insegnamento iniziale con lo stipendio di 350 fiorini. Sue opere:
16) Angelo Thio, Quaesitum et praecognitiones, Padova 1547, p. 18, c.2, traduz. C. Daquino.
17) Ibid., p. 18, c. 3
18) Ibid, p. 27, c. 4
19) Porfirio di Tiro (233 - 305 d.C.?)Discepolo di Plotino a Roma, pubblicò gli scritti del maestro sistemandoli in sei Enneadi. Famoso anche per l’opera Introduzione alle Categorie di Aristotele meglio nota con il titolo Isagoge (= Introduzione), una specie di commentario delle Categorie di Aristotele in forma dialogica; più in particolare tratta delle celebri quinque voces, ovvero dei concetti genus, species, differentia, proprium, accidens, così a lungo analizzati nelle lezioni universitarie del Thio: cinque predicabili che a parere di Porfirio debbono necessariamente essere considerati nella logica. 20) Angelo Thio, Quaesitum et praecognitiones, op. cit., p. 36, c. 1.
|
1 files disponibili per il download, per un peso complessivo di 309,2 KiB con 1.864 hits nella categoria Introduzione.
Files da 1 a 1 di 1.

» 309,2 KiB - 1.864 hits - 2 dicembre 2008
MD5: 254deb0a4f4e1314ff4bc4ecbbd839a9
One thought on “[Introduzione]”
Comments are closed.